Home Serie tv Mindhunter – quando guardi a lungo nell’abisso…

Mindhunter – quando guardi a lungo nell’abisso…

…anche l’abisso ti guarda dentro

Non si cita Nietzsche casualmente per Mindhunter, una serie che potremmo tipicamente definire come tratta da una storia vera.
L’opera Netflix è difatti tratta dall’omonimo libro scritto da uno dei primi criminal profiler del FBI.

Ebbene sì, il concetto di serial killer non è sempre esistito e la prima stagione mostra proprio la traballante collaborazione tra il giovane negoziatore Ford, lo scafato Tench e la dottoressa Carr per dare un metodo scientifico alla catalogazione di questi efferati criminali, allo scopo di poter descrivere e prevedere i passi delle feroci menti omicide ancora a piede libero.

Per fare questo, Ford e Tench andranno in giro per l’ America ad intervistare i più famosi seriali del tempo, spaziando da Ted Bundy al figlio di Sam senza dimenticare Charles Manson (fun fact: lo stesso attore interpreta Manson nell’ultimo di Tarantino).

Ford è un treno merci di istinto che si maschera dietro un completo e una pettinatura sempre impeccabili, mentre Tench e la dottoressa tentano non sempre con successo di mantenere il giovane protagonista sui binari del professionale e del metodo.

I metodi di Ford sono inconsueti ma portano risultati, con buona pace dei suoi superiori; ma come accennato nel titolo di questa recensione, è impossibile non stare a stretto contatto con dei mostri senza restarne contaminati: La season 1 ci lascia proprio sul climax di un Ford a pezzi, con carriera e vita privata sconvolte

Fincher è una garanzia

Sulle doti del regista c’è ben poco da dire, e con Zodiac aveva già ampiamente dimostrato di padroneggiare la materia.

Non tutti gli episodi sono diretti da lui, ciè non di meno il livello tecnico di Mindhuter si mantiene costantemente alto su entrambe le stagioni; notevole anche la colonna sonora e il cast, su cui spicca McCallany (già sotto Fincher per Fight Club).

A voler essere pignoli

In Mindhunter succedono sempre tante cose: la lotta interna al Bureau per lanciare questo nuovo approccio al killer seriale; la sfera privata dei tre protagonisti; le interviste; i casi; persino un approfondimento lungo ambo le stagioni di un seriale ancora a piede libero. Tutto questo è un bene e spesso il risultato è ottimo (vedasi i dialoghi tra Ford e la ragazza nella stagione 1, o la scarsa capacità di Tench nella sfera affettiva).

Nella seconda serie vi è però un effettivo squilibrio, con tanta, a tratti troppa carne al fuoco nei primi episodi: tra deus ex machina nelle vesti di un nuovo capo tutto focalizzato sul ‘metodo Ford’ , i suoi strascichi emotivi dal finale di stagione, tutto viene poi ruotato ad un unico, maxi-caso che ci porterà fino all’ultimo episodio. Nel mezzo, nessuno spazio per la vita privata di Ford, mentre apparentemente si dedica più tempo a Tench e Carr.

Alla fine è la sfera personale di Tench a essere al centro dell’attenzione.

Quasi come se fosse il suo, di turno, per portare i mostri dalla scrivania alle mura di casa.