Dario è un venti-e-qualcosenne, in procinto di laurearsi e non ha la minima idea di cosa fare con la propria vita. I due genitori partono per le vacanze (santi Mastandrea e la Milillo) e lui decide di rimanere a casa a Roma, da solo. Non va in giro in vespa come Moretti ma in bicicletta e in Panda. Passa le giornate con il suo migliore amico, si trascina con pigra indolenza, conosce Caterina al pronto soccorso dopo essersi versato dell’olio bollente addosso, scappa dai rapporti e finalmente riesce a parlare con Lara, la ragazza ammirata da lontano per una vita.
Filippo Barbagallo qui al suo esordio in assoluto, dirige, scrive ed interpreta un’opera prima fresca e leggera, genuina, niente affatto superficiale, piccolina ma non banale.
Troppo Azzurro è una commedia leggera, disincantata, stralunata, non troppo pretenziosa e ben calibrata nel dipingere uno stallo emotivo, in cui può essere facile immedesimarsi nella sincera e fragile timidezza del suo protagonista.
Le situazioni che Barbagallo racconta sono situazioni che appartengono alla quotidianità: amici che discutono, genitori che fanno di tutto per essere presenti, amori che nascono ed appassiscono nel giro di una stagione.
Guardi il Dario di Troppo Azzurro e lo vedi affrontare la vita con una patologica insicurezza, pieno di nevrosi e di tic e non puoi non pensare ai primi Nanni Moretti, oppure a Troisi in quel suo modo di affrontare (scappare) l’amore. Potrebbe apparire derivativo ma Barbagallo riesce a ritagliarsi un’identità tutta sua e non farne un banale calco. Il protagonista è goffo ed insicuro, fin troppo consapevole, quasi apatico nel farsi succedere le cose. È pessimo nei rapporti ed infelice nelle scelte. L’estate torna ad essere la grande protagonista, sospesa, sempre uguale ma fonte di cambiamenti e forse di crescita.
Caterina e Lara sono l’inaspettato che irrompe nella quotidianità, il motore del cambiamento. Forse non subito, forse non domani, ma arriverà il momento di buttarsi ed affrontare questa sfida, un passo alla volta, sbagliando sicuramente ma tuffarsi, prendere in mano la propria vita e smetterla di procrastinare e rimuginare.
Non affibbiamo a Troppo Azzurro etichette pesanti come “film generazionale” perché non lo è. Potrebbe sembrare perché la storia riesce a raggiungere una forma di universalità, racconta cosa vuole dire essere giovani adulti oggi, e quanto sentimentalmente immaturi siamo diventati. Barbagallo però non vuole ergersi a nessuna voce, vuole parlare per sé e basta e lo fa con tono personale e singolare.
In chiusura, nota di merito al cast, azzeccatissimo, e alle notevoli musiche dei Pop X semplicemente fantastiche.