Anatomia di una caduta è un legal thriller hitchcockiano processuale ma anche intimista, che parte da un semplice incipit narrativo: un uomo muore, cadendo dalla finestra di uno chalet di montagna vicino a Grenoble dove vive con la moglie Sandra (Sandra Hüller) e il figlio, ipovedente Daniel (Milo Machado Graner).
La regista Justine Triet ha dichiarato di essersi ispirata dalla caduta della sagoma di un uomo nella celebre sigla di Mad Men che a sua volta ammiccava dichiaratamente agli opening credits di un gigante come Saul Bass illustratore e titolista di film Anatomia di un omicidio, che ha a sua volta ispirato Justine Triet per la scelta del titolo della sua quarta opera.
Quindi la struttura narrativa del film, come ha detto la stessa regista, è la recherche della verità.
Stiamo parlando di un omicidio o di un suicidio? Samuel è stato ucciso da Sandra o ha deciso di farla finita?
Che sia questa la domanda principale del film ci appare chiaro già dalla locandina, una plongeè sul “fatto” o sul “misfatto”. Un’immagine dall’alto in cui madre e figlio guardano l’uomo in una pozza di sangue. La dicotomia inizia qui. Da una parte l’innocenza, il bianco candido e immacolato della neve, dall’altra la colpevolezza del rosso sangue.
Tutto il film e il processo giocherà sull’ambivalenza tra realtà e finzione, oggettivo e soggettivo. Tema che ritorna nella declinazione, scrittura e trascrizione, dopo “Sibyl – Labirinti di donna”, precedente lavoro della regista sempre insieme a Sandra Hüller.
Dunque il punto chiave del film è che tutti dati processuali sono opinabili, non c’è nessuna prova schiacciante, di fatto sono tutti punti di vista o di non vista, come quello del figlio ipovedente della coppia. La giuria stessa è cieca trovandosi davanti un unico reperto audio, non video, solo la registrazione del litigio della coppia avvenuta prima del fatto cruento.
Andando a scavare, ma neanche troppo incappiamo anche in un altro subplot del film ossia quello femminista. Sandra è una donna di successo, autonoma che sia affida al marito represso e frustrato dagli insuccessi professionali, l’educazione del figlio. Una donna accusata di aver saccheggiato il lavoro stesso del marito, per la stesura del suo romanzo. Una donna che “per di più” ha avuto una o più relazioni extraconiugali con una o più donne e che viene umiliata durante l’intervista iniziale dalla canzone P.I.M.P. di 50 Cent, pezzo dichiaratamente sessista. I valori storici del patriarcato che vacillano.
In un film tanto geometrico e cerebrale, forse la Triet ha messo tanta carne al fuoco, per riuscire a controllare tutto e forse non tutto torna, tranne il cane nell’ultima inquadratura. Povera bestia protagonista di una scena, quella dell’avvelenamento da aspirina, che è di un realismo spaventoso.