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Them – La Paura: La Recensione

La seconda stagione di Them (La Paura) è ambientata a Los Angeles, circa 40 anni dopo gli eventi narrati nella prima.
Stiamo parlando del 1991, anno in cui negli States ha inizio un periodo di recessione a causa del quale un’infinitesima parte della popolazione americana detiene quasi la metà della ricchezza del Paese.

Gli anni ’90 sono per gli Stati Uniti un periodo di transizione verso la società dei servizi.
La situazione economica non è delle più floride per la gente comune, mentre le corporations continuano a registrare introiti, evidenziando come il capitalismo sia in grado di creare malessere, soprattutto tra le fasce più fragili della popolazione che, in America, sono consistenti.
Il sistema economico e quello sociale stanno affrontando un periodo di schizofrenia, nel quale diviene evidente come il sogno americano di successo per tutti e ricchezza infinita celi delle ombre; ciò ha inevitabilmente influenza sul benessere psicologico della popolazione.

Tema centrale della stagione è, come recita il titolo, la paura.

Paura inflitta e subita che da tramandare di generazione in generazione, come un difetto genetico che non possiamo cancellare con il tempo, così come l’epigenetica lascia supporre che l’ansia materna venga trasmessa al feto.

Una bellissima e capace, ma irascibile, detective di colore di nome Dawn Reeve (Deborah Ayorinde), indaga sull’inquietante omicidio di un’anziana, apparentemente impazzita, che gestisce una casa famiglia.
Da quell’indagine emergeranno rivelazioni sul complesso passato di Dawn che avranno ripercussioni sul suo presente e sulla percezione che la donna ha di sè.
Dawn è poliziotta donna e di colore; questi due aspetti la constringono ad affrontare situazioni complesse, sia per il fatto di lavorare in un ambiente quasi totalmente maschile e tendenzialmente misogino, sia per doversi confrontare con la sua stessa gente che vive nel ghetto in cui si verificano diversi omicidi e che la considera una traditrice per essersi inserita a pieno titolo nella comunità dei bianchi, dalla parte dei vincenti.

Il razzismo strisciante è una costante della narrazione ed è la causa della paura con la quale la popolazione di colore convive quotidianamente.
Paura di non riuscire ad emergere, paura di non esistere in una società gestita dai bianchi, questi ultimi individui privilegiati che non intendono condividere il proprio spazio.

Razzismo impersonificato dalla sporca bambola bianca dai capelli rasta; essa rappresenta la lotta che le persone di colore devono quotidianamente sostenere contro gli stereotipi e le discriminazioni che ne derivano.
I capelli rossi del pupazzo sono fili che soffocano la gola dei personaggi.
La bambola, da giocattolo del bambino diventato adulto, in quanto rappresentazione della sua rabbia per anni soffocata.
Si concretizza nell’uomo dai capelli rossi che si insinua nelle dimore dei protagonisti, si impossessa delle loro voci, conosce le loro paure e li annienta.

L’uomo dai capelli rossi é incarnazione del disagio della comunità di colore, violenza che essa riversa contro sè stessa, autodistruggendosi.
I pregiudizi diventano peso che deforma e soffoca la sua vittima, senza che questa possa gridare per esprimere il disagio vissuto. La paura è luogo angusto, scatola nella quale è impossibile respirare.

Le morti su cui indaga la detective Dawn rappresentano la claustrofobia e la paura nella quale vivono le vittime.

Se nella prima stagione i vicini, rigorosamente di pelle bianca, torturano psicologicamente la famiglia Emory perchè se ne vada, in La paura le persone di colore sono (male) tollerate.
Condividere il proprio spazio vitale con i bianchi diventa è sorta di concessione che viene fatta con malcelato fastidio.

La società descritta in La paura è una società nella quale la polizia è totalmente inaffidabile, violenta, lontana dal proteggere e servire dell’ideale condiviso.

I poliziotti bianchi sono personaggi al limite (se non al di fuori) della legalità.
Padroni di un mondo nel quale imperversa l’ingiustizia e dove i neri non meritano il tempo di un’indagine.

La popolazione di colore verte in condizioni miserrime, costretta a commettere atti illegali per garantire la sopravvivenza ai propri figli.

La società di Them – La paura manca del suo nucleo, quello della famiglia: i bambini vengono abbandonati come fossero oggetti dai genitori, estendendo il concetto di consumismo alle persone, e dimenticati, cancellati come se non fossero mai esistiti.
Ma non solo.
Gli infanti vengono maltrattati fisicamente e psicologicamente, convertiti in testimoni obbligati e vittime innocenti di un sistema che li costringe a vivere nel malessere.

I bambini subiscono un’esperienza esistenziale mortificante, inseriti in un percorso già segnato dal quale è impossibile riscattarsi. E, quando il riscatto è possibile, ciò si converte in mera illusione che cadrà nell’inevitabile scontro con la realtà.

I bambini finiscono quindi per convertirsi in adulti instabili, nessuno escluso. Adulti che vivono nel desiderio frustrato di appartenenza, amore e riconoscimento. Il rifiuto subito diviene muffa, cancro che cresce nell’individuo e che finisce per controllarne i movimenti, privandolo del controllo di sé, annegandolo in un mare rosso di rabbia e paura incontrollabili che si riversano fuori, sulla società che li circonda.

L’assenza di amore genitoriale e le condizioni di vita estreme sono causa di un’identità deviata, deformata; lo specchio restituisce un’immagine mostruosa che spaventa e si desidera nascondere.

Il ricordo dell’infanzia è, diversamente da quanto si verifica in un’evoluzione normale, qualcosa di minaccioso.
La dimenticanza diviene strumento di salvezza, perchè consente di seppellire un passato orrendo e violento che, tuttavia, trova comunque la strada per riemergere. La memoria recuperata diviene metafora di ritorno alle origini (la propria casa) mediante l’emersione di quella parte di sé, soffocata per lungo tempo ma che non può essere ignorata perché parte irrinunciabile dell’identità individuale.

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Articolo a cura di Vale80