Che il grande schermo e la fantascienza debbano molto a Philip K. Dick si sa e lo abbiamo già spiegato, per cui è tutt’altro che sorprendente vedere una serie antologica tratta dai racconti dello scrittore; lo è ancor di meno che sia Amazon ad averne i diritti, visto gli ottimi risultati di The man in the high castle.
Di certo non è facile in questi anni uscire sul mercato con una serie simile senza subire l’istantaneo paragone con Black Mirror: la verità è che le due serie sono molto diverse, principalmente per il dono più leggero di Electric Dreams. Di certo aiuto il distacco in termini di futuro, che ,se non in alcuni casi, è lontano anni, secoli o persino galassie, dal nostro attuale tempo.
Purtroppo la diversità, che potrebbe essere un vanto in termini di originalità e possibilità di esplorare, è un’arma a doppio taglio che si manifesta nella mancanza di una vera e propria identità di stile e temi della serie: è un calderone di one-shot, futuristici e dai risultati altalenanti.
Bene…
Davvero notevole The Hood Maker, capace di costruire in neanche un’ora tensione, mistero e una sua mitologia. Bastano pochi dettagli (il cappuccio inquietante del titolo, la cicatrice che segna i telepati) per raccontare una storia su cui si potrebbe costruire uno standalone poliziesco vecchia scuola.
Non male anche Crazy diamond, piacevole agglomerato di atmosfere visive e sonore surreali, con un bombardamento continuo di spunti futuristici
Arriva a commuovere The commuter con il suo straniamento dell’uomo comune davanti a qualcosa più grande di lui. E, nonostante questo, una percezione delle cose ben più chiara dei personaggi scintillanti degli altri episodi: azzeccatissimo Timothy Spall (difficile da riconoscere per i chili persi).
…Ma non benissimo
Mentre Father thing sembra una puntata di Piccoli Brividi, Real life spende troppe energie nel mascherare la matrioska di twist da dimenticarsi di raccontare qualcosa di interessante (e qualche accenno di amore lesbo non basta). Insalvabile Safe and sound, che spreca del potenziale grazie a un’esecuzione piatta, con tanto di spiegone finale.
Gli episodi mancanti? Stanno nel mezzo, capaci di trasmettere emozioni in una storia altrimenti prevedibile (Human is, Impossible planet) o, viceversa, nell’avere tutte le carte in regola ma senza smuovere nulla nello spettatore (Kill the others)
Autofac merita invece un discorso a parte, non tanto per il genuino colpo di scena, ma per il suo messaggio:
Amazon che trasmette un episodio dove una enorme fabbrica produce a discapito dell’uomo, popolando i cieli di droni per le consegne… sarcasmo o accettazione di sè?