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The Batman – quando il cinecomic diventa d’autore

The Batman

Matt Reeves riesce nel compito non banale di dare una propria identità all’ennesima incarnazione su pellicola dell’uomo pipistrello.

La lontananza dall’ultimo Batman – un convincente Ben Affleck in un meno convincente contesto DCU – è considerevole: La Gotham City in cui si muove il nostro crociato incappucciato non solo è dura, sporca e costantemente umida, ma anche del tutto priva di qualsiasi traccia di supereroismo. Non c’è spazio per poteri alieni, mutanti, regine guerriere; anche i gadget dell’oscuro vigilante sono più terreni; in questo Reeves si scarta anche rispetto la trilogia di Nolan.
Ne è un esempio perfetto la Batman-mobile, riuscitissima muscle-car e di certo più realistica di carri armati o veicoli di derivazione militare visti precedentemente. Nonché protagonista della scena d’azione migliore di tutto il film: adrenalinica, nervosa e portatrice di caos.

Ma il Batman di Pattinson ha altre caratteristiche che lo rendono diverso dal passato. In un momento di inizio della sua carriera (Anno 2, per i lettori di fumetti), così come Gordon non è ancora il capo della polizia, anche Bruce Wayne non è divenuto il simbolo di giustizia per la città.

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Esso è Vendetta, come recitato a più riprese nella storia; il percorso da vigilante a eroe è forse ancora lungo, causa il tormento verso i genitori (state tranquilli, non ci viene sorbita l’ennesima versione della genesi dell’uomo pipistrello; bensì è tramite gli occhi dell’eroe che la sofferenza di un orfano rispecchia la sua) e l’ansia di lasciare il segno sulla città. Il suo incedere è pesante, a tratti grezzo e di certo imperfetto. Questa versione di Batman viene ferita, sviene e vive delle fughe anti-epiche.

È un eroe più umanizzato che in passato, sebbene, paradossalmente, è forse il Batman con meno Bruce Wayne di sempre. Talmente avezzo alla notte da essere fotosensibile. Eppure è già il Detective migliore del mondo, al centro di un film pensato e girato come un noir, una crime story capitanata da un vigilante.


il Detective migliore del mondo, al centro di un film pensato e girato come un noir, una crime story capitanata da un vigilante mascherato.


Pattinson è senza dubbio convincente nella parte, con buona pace di tutti i detrattori che ne lamentavano la mancanza di prestanza fisica o il look emo nelle prime immagini. Lo è nelle movenze e nello sguardo, capace di mostrare ira, determinazione, dubbio, spavento; speranza nell’aver incontrato una persona borderline come lui.

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La prova per l’attore è di certo superata; il resto del cast è altresì all’altezza. Forse Turturro come capo mafia in maglioncino dentro un club sotterraneo è leggermente straniante. Un plauso a Dano che riesce a incutere orrore e follia per un villain solitamente secondario e bizzarro nell’immaginario collettivo.

L’intero impianto tecnico è eccellente, dalla fotografia al sonoro (Giacchino vi metterà voglia di uscire a inseguire criminali); Reeves ha studiato a fondo la materia, attingendo a livello estetico forse più alla serie Arkham che alle precedenti pellicole.

Il regista come già in passato fa miracoli col PG-13, che solo in un paio di situazioni si fa sentire. Non è solo una questione di violenza, il feeling tra Bruce e Selina risulta un po’ castrato per il taglio così maturo e realistico della storia.

Il problema principale di questo The Batman è però un altro: la lunghezza.

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E’ tutto ricercato, strutturato e si comprende benissimo come un Noir necessiti dei suoi tempi per dipanarsi. Ma se è fisiologico un inizio tranquillo, quando poi si accelera per arrivare al grandioso inseguimento in auto, comincia a scemare poi in modo importante di ritmo. Purtroppo.
Non si vergognino gli spettatori con più di 30 anni se al momento dell’interrogatorio possa calare la palpebra, ed è un vero peccato dato che la scena nasconde inaspettati sviluppi psicologici del personaggio.

Per intenderci, il miglior Nolan (il Cavaliere Oscuro ovviamente) quasi 15 anni fa con circa due ore e mezza era “una visione impegnata”. Il seguito era ancora più lungo, ma fallace per altri motivi. Questa malattia del cinema più recente, dove il Blockbuster deve esplodere anche in minutaggio, è quasi un peccato mortale in questo specifico caso. Perché non parliamo di un cinecomic dove botte da orbi, battutine e raggi laser tengono sempre il gas al massimo, intrattenendo ma lasciando poco dentro allo spettatore. Qui parliamo di un film cupo, nero come la notte, dannatamente serioso che con un 20 minuti in meno sarebbe stato meno stancante alla visione.