Home Speciale Interviste JAMovie incontra: Germano Gentile, attore versatile tra cinema, teatro e cartoon

JAMovie incontra: Germano Gentile, attore versatile tra cinema, teatro e cartoon

Oggi JAMovie ha il piacere di intervistare l’attore italiano Germano Gentile, che è protagonista nelle nostre sale di Il Legionario, film vincitore all’ultimo Festival di Locarno, e doppiatore di L’era glaciale – Le avventure di Buck dal 25 Marzo su Disney+. Un’intervista in cui l’interprete si mette a nudo, esplorando la sua carriera di grande versatilità.

Quando è nata la tua passione per la recitazione?

Ho iniziato a recitare quando avevo sedici anni, ma la vera passione è nata dopo. Quella era stata qualcosa nata così, a scuola, in un corso propedeutico delle superiori perché cercavano un Otello. Però tre/quattro anni dopo, uscendo da scuola, ho capito che era questo quello che volevo fare. Fino a quel momento, però, era solo qualcosa che mi faceva stare bene.

Una carriera piena di cinema e teatro: dove ti senti più a casa?

Mi sento a casa ovunque. Dico sempre che la recitazione è una. Non esiste una recitazione cinematografica e una recitazione teatrale: è sempre recitazione. Io sto bene dove posso esprimermi. Io vivo nel range che va dalla preparazione del personaggio alla performance e quindi mi trovo a mio agio sia sul set che sul palco. Dove c’è recitazione c’è casa.

Una carriera cinematografica iniziata alla grande, mostrando da subito la tua versatilità: prima col Premio Luce Futuro al Miglior Attore per Et in Terra Pax, poi un ruolo indimenticabile nel cult Nessuno mi può giudicare. Ci parli di questi due film?

Per quanto riguarda Nessuno mi può giudicare, tutto è nato da un workshop di Furio Andreotti, che è non solo un autore ma anche una persona straordinaria. Ha lavorato spesso con Massimiliano Bruno, che venne a vedere una prova aperta. Bruno stava per girare Nessuno mi può giudicare, e allora mi ha chiamato. E’ stato simpatico da fare! Anche se ero vestito da africano era un ruolo romano, un po’ un mix. Mi è piaciuto molto, anche perché cantavo ed è una cosa che ho sempre desiderato fare una performance canora. La scena è simpatica e mi fa piacere che la gente si ricordi di me in quel film.

Et in Terra Pax è stato il mio vero ruolo. I registi hanno creduto in me fin dall’inizio. Mi hanno provinato in un film molto bello, profondo. Mi piacque molto la loro idea, ma soprattutto non era un ruolo stereotipato. Loro scardinavano gli stereotipi, come succede ne Il Legionario, quindi facevo un personaggio semplicemente romano, che non risentiva di etichette, come spesso mi capitava di fare nei provini per film e serie tv. Sono ruoli molto diversi, mi sono divertito molto ed entrambi hanno il loro perché. Non ero lì tanto per contorno, mi piacque molto partecipare a entrambi.

Germano nel film Et in Terra Pax del 2010

Quali sono i tuoi punti di riferimento attoriali?

I miei punti di riferimento attoriali spaziano un po’. In Italia, sarò scontato, ma direi Favino o Elio Germano. Perché si trasformano sia vocalmente che fisicamente, si concedono ai personaggi che vanno a interpretare. Devo dire che i miei, se devo scegliere un attore afroamericano, ovvio che penserei a un attore che ha guidato la mia infanzia, Denzel Washington. Per me è stato un faro, anche per quello che dice fuori dal set.

Sinceramente i più grandi riferimenti che ho avuto sono stati i miei insegnanti, lo puoi mettere in grassetto. Sono delle persone che mi hanno aiutato veramente aiutato nel mio percorso. Sono stati dei professori del Centro Sperimentale di Cinematografia, come Alberto Antonelli, Eljana Popova, Mario Grossi, Valeria Benedetti Michelangeli e Mirella Bordoni. Questi sono stati i miei insegnanti principali di recitazione. Poi c’è stato Ennio Coltorti, e Emiliano Coltorti, con i quali ho lavorato a stretto contatto per quattro anni nello spettacolo Colpo Basso di Gianni Clementi. Loro sono stati un faro, ho appreso tantissimo guardandoli lavorare. Ennio è stato veramente un grande maestro, nel teatro e nella vita.

E ora sei protagonista del bellissimo Il Legionario, ora nostre sale, dopo una fortunatissima tournée nei Festival. Quanto Daniel c’è in Germano?

Con Daniel ci siamo cuciti la nostra pelle a vicenda. Ormai dopo tutti questi anni di preparazione al personaggio, siamo una cosa sola. Le cose che ci accomunano sono un paio: la grande paura di perdere la madre. Quella di Daniel in senso lato, io purtroppo l’ho persa questa battaglia appena prima delle riprese. Questo è quello che ci accomuna di più. Questa grande paura che ho provato prima di girare il film, questo senso di smarrimento, il perdersi. Entrambi ci siamo un po’ persi, o almeno abbiamo rischiato di farlo, perdendo i nostri punti di riferimento delle nostre vite. Io mi sento ancora così, lui non so. Diamo spazio all’immaginazione. Altra cosa che ci accomuna è la forte determinazione di fare andare le cose bene. Il non essere drastico e cercare di accomodare le situazioni.

Sono diversi anni che il personaggio Daniel fa parte della tua vita, prima col cortometraggio e ora con il lungometraggio. Hai cambiato o aggiunto qualcosa nel film rispetto al corto?

Sicuramente qualcosa è cambiato rispetto al corto. L’aspetto di occupazione della parte di Daniel viene a galla. Soprattutto, come dicevo prima, questa paura di perdere la propria famiglia, la propria identità. Questo ci accomuna. Mentre nel corto la cosa si vede ma è poco sviluppata, questo non succede nel film. Tanti eventi che ho vissuto tra il corto e il lungometraggio mi hanno aiutato a calare ancora di più nel personaggio.

Nel cinema italiano troviamo raramente un interprete di colore come protagonista. Quanto è difficile farsi strada nell’ambiente lavorativo? Pensi sia razzismo, ignoranza o altro?

E’ molto difficile. In ventuno anni, ho trovato tante difficoltà. Ricordo che la mia insegnante Carla Todaro, alla quale devo il mio amore per questo mestiere, con il quale ho iniziato mi ha detto:“guarda, sei molto bravo, hai talento ma troverai molta difficoltà perché in teatro non ci sono tutti questi ruoli. Sicuramente ti farai strada, ma troverai difficoltà.” E così è stato. Io sono molto caparbio. Volevo formarmi e sono entrato nel Centro Sperimentale di Cinematografia, sono stato il primo allievo di colore a entrare e questo già mi ha spronato ad andare avanti. Negli anni ho trovato tante difficoltà perché i ruoli erano molto stereotipati, spesso negativi perché o dovevo essere spacciatore o rapinatore.

Poi c’è stato qualche sprazzo con Massimiliano Bruno, con Et in terra Pax, sono stati veramente raggi di luce. Pensavo che ci fosse stato un miglioramento ma così non è stato. Ho passato altri anni in maniera frustrante, a fare provini per ruoli africani dove non venivo preso. Io, che avevo fatto comunque il Centro Sperimentale di Cinematografia, non venivo preso. E’ stato mortificante, ho pensato tantissimo e questa cosa ce l’ho ancora in testa anche perché non ho così tanto lavoro. Non sono ancora uscito da questo piccolo tunnel. Non penso sia razzismo, ma penso che la società stia cambiando in maniera decisiva. Il cinema è lo specchio della società.

Germano nel film Il Legionario

Questa società italiana sta cambiando, stiamo raggiungendo anche altri Paesi Europei dove, anche per il colonialismo, hanno una percentuale più alta anche da diverse generazioni. Diciamo che per adesso la diapositiva della società che andava sullo schermo non era veritiera, ora stanno venendo fuori un sacco di situazioni, di ruoli e questo è determinante. E’ fantastico. Ora si trovano molti più ruoli poliedrici e meno “ruoletti” che non mi rappresentavano da cittadino italiano. Speriamo sempre meglio!

Il Legionario tratta dei temi importanti, dalla mascolinità tossica, il razzismo, ma soprattutto una famiglia spaccata e l’occupazione delle case. Una storia che butta giù molte pareti. Cosa speri che il film lasci nello spettatore?

Nel film ci sono diversi temi, tra cui la mascolinità tossica che fa parte del cameratismo. Ho visto coi miei occhi che questo cameratismo da caserma è anche un loro modo di socializzare. Loro si prendono in giro così! Il soprannome che viene dato a Daniel, Ciobar, non lo fa sentire propriamente accettato. Percepisce che sono frasi che, anche per scherzo, fanno male.

Un altro tema importante è quello delle case occupate, un tema molto caro a Hleb (il regista) perché nella storia del cinema se n’è parlato pochissimo. Ci sono pochissime opere filmiche che trattano questo argomento, l’emergenza abitativa. Nelle grandi città, di preciso Roma, è un argomento caldo, importante. Questo è un film sulle relazioni. Ci fa capire che non si può stereotipare tutto, non siamo solo una cosa. Spero che le persone capiscano quanto sia importante pensare, che non esiste solo il bianco e nero, ma che il Mondo è fatto di tanti grigi e tante varietà di grigio. Il vero segreto di una società che può guardare al futuro è il fatto di potersi mettere in gioco e porsi degli interrogativi e non dare giudizi affrettati. Purtroppo nella società spesso è così. Coi social si pensa a dare subito giudizi e non a pensare e ragionare sulle situazioni.

Dal 25 Marzo ti troveremo anche su Disney+ come doppiatore di Orson, uno dei protagonisti di L’era glaciale – Le avventure di Buck. Ci puoi parlare del personaggio?

Ho fatto questo lavoro fantastico, molto divertente. La prima volta che doppio un personaggio così importante, poi in un film per la Disney. E’ il sogno di tutti i bambini! Grazie a Alessia Amendola, che ha collaborato alla direzione del doppiaggio, e a Marco Guadagno per avermi dato l’opportunità. Non posso parlare di Orson perché il film ancora non è uscito. Non posso dire nulla! Dico solo che è un personaggio molto divertente: è un cattivo, un po’ sfigato e frustrato.

Che film ti piacerebbe girare in futuro? Un horror? Ti ci vedo bene!

In futuro vorrei fare più ruoli così poliedrici. Personaggi comunque italiani, mettermi a disposizione di storie così profonde. Ma anche prodotti più action, mi ci sono trovato molto bene! Perché no? Io sono un amante dei film horror da quando sono piccolo, sarebbe bellissimo. Ci sono andato vicino qualche anno fa con un progetto, di cui non dirò il nome, ma non sono stato preso. Spero che qualcuno mi possa proporre o che possa fare provini per dei ruoli come quello di Daniel. Speriamo sia apripista!

Un consiglio per i giovani che si stanno avvicinando al tuo mestiere?   

Preparazione. Bisogna studiare, non bisogna improvvisarsi. Aprirsi al mondo, parlare alle persone. Noi portiamo sullo schermo, in scena, sempre emozioni, storie di persone. Aprirsi alle persone, non chiudersi. Tanta determinazione, perché le sconfitte sono più delle vittorie. Per costruirsi una carriera uno deve superare le porte in faccia. Per quante siano, uno deve cercare di rialzarsi e andare avanti. Una volta un attore americano che conobbi, Hill Harper, mi disse di non rimuginare sulle sconfitte, perché se le cose devono andare in un certo modo, ci andranno, sia in positivo che in negativo. E ho fatto di questo una filosofia di vita. Poi come disse il mio mentore, uno di quegli attori che seguo da sempre, Denzel Washington “se cadi sette volte, rialzati otto”. E’ una filosofia che cerco di applicare alla mia vita, penso sia l’unico modo per arrivare al successo.

Potete leggere qui la nostra recensione di Il Legionario