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Una serie di sfortunati eventi (2a stagione)

 It’s count Olaf in disguise!

 

Quante volte oramai il nostro orecchio ha udito questa disperata affermazione pronunciata dai sempre più rassegnati fratelli Baudelaire nel corso degli episodi, nel vano tentativo di smascherare i malvagi piani del loro tutore.
Lo sappiamo.
È tutto inutile.
E non serve l’ennesima riconferma della stoltezza e dell’ingenuità del signor Poe, o il surreale atteggiamento degli adulti nei confronti di tre poveri orfani che ne hanno vissute di ogni.
Ci basta la statuaria presenza di Lemony Snicket all’inizio di ogni puntata per capire che anche questa volta tutto andrà storto.
Che in questa infausta vicenda there’s nothing but dismay.
E che la verità sui fatti pur essendo sempre più vicina, sembra rimanere indissolubilmente irraggiungibile a causa di un Fato avverso che anche il Foscolo più pessimista non si sarebbe potuto minimamente immaginare.

Eppure c’è qualcosa in questa vicenda così tragicomica, così radicalmente negativa dove tutto ciò che può andare male risulta essere persin peggiore, che fa di questa serie un piccolo gioiello per grandi e piccini.
Una delle trovate Netflix più riuscite dell’anno.
Se la prima stagione si era dimostrata essere all’altezza delle aspettative, riuscendo a cogliere appieno l’atmosfera grottesca dei romanzi, questo secondo capitolo supera letteralmente se stesso.
Accrescendo così l’attesa per il gran finale sempre più imminente.
La seconda stagione di Una serie di sfortunati eventi infatti, ripropone, mutuando la storia dei tredici volumi scritti (a ciascuno dei quali vengono dedicate due puntate), il continuo perpetuarsi delle peripezie di Klaus, Violet e Sunny Baudelaire sballottati come pacchi postali da un tutore all’altro nella speranza di sfuggire alle nodose grinfie del conte Olaf ossessionato dalla loro cospicua eredità di famiglia.

Neil Patrick Harris e Lucy Punch

Eliminati però i parenti, i tre orfani si ritrovano catapultati in situazioni via via più assurde e al limite del possibile.
Da un’accademia scolastica fatiscente che espone in bella vista il motto memento mori, ad un villaggio di vecchi fanatici di corvi chiuso nella cocciutaggine del proprio regolamento .
E con la costante persecuzione da parte del poliedrico e oltre ogni modo stupido conte che Neil Patrick Harrys riesce a rendere al 100% grazie ad un misto di insensata malvagità, estrema goffaggine, e spropositate manie di protagonismo da palcoscenico (non a caso Olaf è un grande attore di teatro).
La paradossalità e l’incongruenza delle situazioni è tale da provocare una drastica inversione di ruoli tra preda e predatore.
Nonché una prospettiva futura quanto meno cupa.

Tutto questo strampalato e stravagante ingranaggio di assurdità funziona però alla perfezione.
La ripetitività del medesimo schema narrativo non risulta mai controproducente o fallace.
Rincara invece la dose di divertimento e intrattenimento della serie in un alternarsi di elementi e trovate azzeccatissime.
Le scenografie eccessivamente ma volutamente sature e pesanti e perciò irrealistiche, che ricordano lo stile cromatico e patinato delle ambientazioni da cartoon di Wes Anderson, il loop caratteriale dei personaggi che non si discostano di un millimetro dal proprio comportamento tipo (la moglie del signor Poe che ripete una sola battuta fino alla nausea), le delucidazioni etimologiche di Snicket e così via per ogni singolo aspetto dell’intera vicenda, che pare riproporsi allo spettatore solamente travestito in modo differente, ma non cambiato mai del tutto.

Lo spettatore finisce quindi per andare avanti episodio dopo episodio.
Non solo per cercare finalmente di scoprire il mistero della famiglia Baudelaire una volta per tutte, ma perché sa esattamente cosa deve e dovrà accadere dopo la sigla minacciosa che già di per sé spoilera la puntata in questione.
Un rollercoaster di situazioni apparentemente diverse e nuove ma simili.
Animate dai disparati travestimenti penosi ma geniali nel loro grado di insensatezza del conte Olaf, il vero perno di tutta la serie.
E l’ingrediente principale del suo successo.

Quello che mi colpisce di più di questa serie TV è proprio ciò che non ero riuscito a ritrovare nella trasposizione cinematografica del 2004, che pur essendo generalmente discreta anche grazie al peso recitativo di Jim Carrey, non era stata in grado di catturare ed emulare l’atmosfera e il clima dei libri.
Mai infatti da parte mia, ho potuto trovare una riproduzione cosi fedele e pedissequa della pagina scritta, come in questa audace produzione Netflix.
Pur avendo aggiunto delle variazioni, sembra di poter percepire sullo schermo le frasi delle innumerevoli pagine delle disavventure dei Baudelaire nei minimi dettagli.

Ogni cosa è lì dove dovrebbe essere.
Non c’è nulla di sbagliato o fuori posto, nello scorrere inesorabile di ostacoli continui. Merito anche della scelta di abbattere la quarta parete tra finzione cinematografica e spettatori, inserendo la voce narrante fuori campo, che, facendo capolino qua e là all’interno delle puntate aiuta lo spettatore a mantenere un legame con la storia e un interesse maggiore per questa serie di sfortunati eventi, dei cui funesti risvolti siamo incessantemente messi in guardia da Snicket.
Trovata assolutamente vincente.

Artciolo a cura di Matteo Arfini