Il 15 novembre Netflix ha rilasciato la quarta stagione di “The Crown”, la serie tv che, per chi ancora non lo sapesse, racconta la vita della Regina Elisabetta II partendo da poco prima della sua incoronazione – che avvenne nel 1952, quando aveva 25 anni.
Se nelle prime due stagioni Claire Foy e Matt Smith impersonavano la giovane Regina ed il Duca di Edimburgo, dalla terza stagione c’è Olivia Colman a reggere corona e scettro della sovrana più longeva del mondo, a capo di una delle monarchie più antiche e chiacchierate d’Europa – supportata dal Filippo di Tobias Menzies.
In questa quarta stagione approdiamo negli anni Ottanta, con tutta la relativa carne al fuoco che questi anni portarono nel Regno Unito: Margaret Thatcher, le Falkland, la crisi del Commonwealth con le mancate sanzioni all’apartheid in Sudafrica. Ma anche l’avvento di colei che riuscì ad infilarsi in un sistema rigido e centenario finendo per romperlo dall’interno: Lady Diana Spencer. Dieci episodi perfettamente bilanciati e tecnicamente impeccabili – aspetto che rende “The Crown” sicuramente una delle migliori produzioni Netflix, in quest’ultima stagione ad un cast già di livello altissimo si vanno ad aggiungere Gillian Anderson e la giovanissima Emma Corrin, rispettivamente nei panni della Premier Margaret Thatcher e della Principessa del Galles, Diana.
La Anderson, reduce dal successo di “Sex Education”, non sfigura ed è sicuramente un valore aggiunto, confermandosi una scelta eccellente per interpretare la Lady di Ferro, la donna che trasformò l’economia inglese inimicandosi un paese e forse la Regina stessa: le schermaglie con la Colman sono sicuramente uno degli highlight di questa stagione, insieme agli intensi ed accorati monologhi e alle accurate ricostruzioni storiche della situazione politica di quegli anni.
Altro pregio, questa volta estendibile a tutta la serie, è la continua volontà di approfondire non solo le dinamiche della Famiglia Reale ma anche il lato “nascosto” e meno esposto dei suoi componenti – e anche, collateralmente, dei personaggi pubblici che si avvicendano nelle varie stagioni. Così, dopo le prime due stagioni nelle quali ci si concentrava sul rapporto tra Elisabetta e Filippo e l’evoluzione del rapporto con la Corona della neo-sovrana, impreziosite dalla splendida side-story della principessa Margaret – una Vanessa Kirby in stato di grazia – e una terza dove le dinamiche familiari vengono rimodellate sulla base dell’unico elemento inamovibile della Royal Family, ovvero il dovere e l’obbedienza alla Corona, anche nell’ultima stagione di “The Crown” si fa luce su ciò che accade tra i corridoi e le stanze di Buckingham Palace, tra tensioni ed insofferenze che non risparmiano nessun membro della famiglia, dai quattro figli della Regina alla sorella Margaret (ruolo ripreso da una strepitosa Helena Bonham Carter).
Ma ancora una volta è il Dovere a rimettere ogni cosa al suo posto, la causa superiore della lealtà alla Corona che viene più volte ribadita ed imposta dalla Sovrana. Con scarso successo, però, nel nuovo membro della famiglia: Diana, la giovane moglie di Carlo.
Ora, per capire pienamente l’impatto che ebbe Diana nella Famiglia Reale inglese credo sia doveroso partire dalla fine, ovvero dall’ondata di isterismo e commozione mondiale che si scatenò quando la Principessa del Galles (titolo ottenuto con il matrimonio) morì nell’agosto del 1997, nel chiacchierato incidente stradale avvenuto a Parigi. All’epoca Carlo e Diana, dopo anni turbolenti, avevano già divorziato e di conseguenza Diana, ancora Principessa ma che non si era più potuta fregiare del titolo di “Altezza Reale”, non avrebbe avuto il diritto di esequie pubbliche. Bene: non solo il funerale fu pubblico, ma le aspre critiche ricevute costrinsero la famiglia reale a tornare di corsa dalla residenza estiva di Balmoral e spinsero la Regina a fare un discorso alla nazione per omaggiare quella che negli anni era diventata, senza dubbio, la spina nel fianco dei royals.
Perché Diana aveva modificato per sempre la monarchia inglese, scardinando e mostrando a tutti il “lato oscuro” di una gabbia dorata, trasformandosi in un personaggio che oggi sarebbe così squisitamente “social”, anticipandone di trent’anni la tipica sovraesposizione morbosa e costante. Diana, anello di congiunzione tra il popolo che sognava Buckingham Palace e una famiglia reale austera e distante, attirava l’attenzione dei media e delle persone come una calamita: amatissima, acclamata ad ogni evento, era la protagonista di una favola moderna che aveva però già le tinte di un incubo.
Un aspetto che colpisce, in questa stagione di “The Crown”, è che in ogni episodio in cui compare Diana viene apposto il disclaimer riguardante scene forti di disturbo alimentare: perché la favola, nonostante la nascita dei figli William ed Henry, funzionò brevemente non solo per l’inconciliabilità con Carlo, ma anche perché si sa che quando un matrimonio finisce è sempre colpa di tutti e tre. La terza era Camilla Parker-Bowles, l’eterna amante che rimase sempre nascosta eppure fu presenza ingombrante in un’unione che la stessa Diana definì, in un’intervista televisiva, “piuttosto affollata”.
E quindi la solitudine, la depressione, la bulimia, mentre il mondo la idolatrava e ne alimentava, anno dopo anno, la popolarità e il mito grazie alla sua empatia, alla sua bellezza e all’eleganza innata. Ma la competizione con Camilla, la spontaneità contrapposta ai rigidi protocolli reali la trasformarono presto in un personaggio anticonformista – una principessa pop, se ci perdonate la contraddizione in termini. E mentre il suo matrimonio andava in pezzi, Diana comprese di poter utilizzare la propria popolarità per catalizzare su di sé ancora più attenzione da riversare su cause benefiche – come lo smantellamento delle mine antiuomo oppure le campagne di sensibilizzazione sull’AIDS. Amica di cantanti, attori e di uno star system che l’adorava tanto quanto la gente di tutto il mondo, Lady Diana riuscì a cogliere il meglio dalla propria posizione, unendo la propria sensibilità all’enorme cassa di risonanza che era capace di creare su qualsiasi cosa mettesse mano.
L’intervista del 1995 alla BBC in cui si metteva a nudo ammettendo i tradimenti non intaccò minimamente la sua persona ma anzi la rese più forte, e anche dopo il divorzio Diana continuò a catalizzare l’attenzione mondiale: vuoi per la sua personalità e per l’etichetta ormai guadagnata di “Principessa del Popolo”, vuoi anche per il fatto di essere riuscita a spazzare via la polvere che copriva da secoli i palazzi Reali e per aver messo letteralmente sotto i riflettori tutto ciò che prima era stato custodito gelosamente all’ombra della Corona.
Emma Corrin, classe 1995, è quasi impressionante nella somiglianza con Diana e compie un grande lavoro in questo ruolo sicuramente non facile visto l’hype che si era creato nei mesi precedenti l’uscita di questa stagione; ottima anche l’interpretazione di Josh O’Connor, che cerca di suscitare una certa empatia nei confronti di un Carlo tormentato e sofferente in un percorso coerente iniziato con la terza stagione. Ma la figura del Principe del Galles ne esce a pezzi così come tutto l’enclave reale, reo di aver volutamente ignorato l’enorme disagio di Diana.
Si vocifera che la Royal Family non abbia apprezzato molto questa ultima stagione: comprensibile, considerando che con altre due stagioni di “The Crown” alle porte – e il conseguente cambio di cast – il mito della Principessa del Galles, a quasi trent’anni dalla morte, tornerà ad alimentarsi e a far tremare le fondamenta di Buckingham Palace.