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CICLO ALMODÓVAR: Vita, Arte e Narrazione

Articolo a cura di Vincenzo Politi

Ogni grande regista possiede le proprie manie manie e ossessioni. Quali sono quelle che popolano l’universo creativo di Pedro Almodóvar? Piuttosto che parlare di un film, nell’ultimo appuntamento del Ciclo Almodóvar esamineremo alcuni dei temi preferiti proposti e sviluppati dal regista spagnolo.

Il cinema di Almodóvar è quasi paradossale. Da una parte, Almodóvar si è cimentato con una grande quantità di generi. Dalle prime pellicole underground e trash, è passato a commedie più sofisticate. Successivamente, ha strizzato l’occhio al noir, al thriller e alla satira. Fino a giungere ai grandi melodrammi. Probabilmente, è stato uno dei primi a sperimentare con il ‘dramedy‘.

D’altra parte, però, il suo cinema possiede un’identità solida. Il suo piglio autoriale è chiaramente discernibile. Più sono strambi i suoi personaggi, più li si riconosce, appunto, come suoi.

Non è un caso che il termine ‘Almodóvariano’ faccia ormai parte del lessico comune. Spesso parliamo di ‘situazioni Almodóvariane’. O di ‘personaggi Almodóvariani’. O anche di ‘film Almodóvariani’, come alcuni di Ferzan Özpetek.

Ciò significa che, alla base della diversità di generi e registri, i film di Almodóvar possiedono quel qualcosa di ineffabile ma potente. Qualcosa che i mediocri rincorrono per tutta la vita, ma che solo i grandi sfoggiano con disinvoltura. Ovvero: uno stile.

E dunque, cosa fa parte dello stile di Almodóvar? Cosa rende Almodóvar Almodóvariano?

Innanzi tutto, come già accennato, i personaggi.

La maggior parte dei personaggi di Almodóvar sono fieramente Spagnoli. Almodóvar, della sua nazione, ne è il sommo cantore. I suoi film formano un mosaico complesso del carattere iberico. Si passa dai folli edonisti, e spesso tossicomani, della movida Madrilena post-Franchista, alle massaie della provincia, agli hipster di città.

Pedro Almodóvar, lo Spagnolo per eccellenza.

In questo coro di voci vigorose, spicca quello delle donne. Le donne di Almodóvar sono, in un certo senso, l’alfa e l’omega della sua cinematografia. Sono forti e fragili allo stesso tempo. Femmes fatales e casalinghe disperate. Spesso ‘sull’orlo di una crisi di nervi’, come recita il titolo di uno dei suoi film più noti. Ma sono anche bugiarde, protette dalle loro maschere di allegria e seduzione.

Basti pensare al controverso rapporto madre-figlia fra Rebecca e Becky in Tacchi a Spillo. O a quella grande maschera di dolore che è Amanda Grís in Il fiore del mio segreto. O a Heléna, interpretata da una Francesca Neri in stato di grazia, in Carne Tremula. Fino a arrivare alle attrici di Tutto su mia madre e a Penélope Cruz, ‘attrice triste’ in Gli Abbracci Spezzati.

Francesca Neri in Carne Tremula

È come se, per Almodóvar, dietro ogni diva ci fosse una donna col cuore infranto. E ogni donna è una diva, proprio perché ogni donna ha il cuore infranto.

Ma nell’universo Almodóvariano non troviamo soltanto le donne ‘biologiche’. Donne non ci si nasce, ma ci si diventa. Soprattutto se si ha, appunto, un cuore infranto. Non si possono non ricordare i personaggi transessuali di Tutto su mia madre. O l’ambiguità di Tina in La Legge del desiderio. O il mistero profondo che avvolge  il diabolico thriller La pelle che abito.

Ma la vera predilezione di Almodóvar è il travestitismo. Uomini che diventano donne per poco, il tempo di uno spettacolo o di due risate. Come se il dolore, l’identità di genere o la vita stessa non fossero che un gioco, una tragica carnevalata.

Così, Almodóvar regala a Miguel Bosé, in Tacchi a Spillo, e a Gael García Bernal, in La Mala Educación, due ruoli forse inaspettati ma comunque iconici.

Marisa Paredes, Victoria Abril e un Miguel Bosé ‘en travesti’ in Tacchi a Spillo

Aldilà dei personaggi e delle loro trame, bisogna anche considerare di cosa parlano i film di Almodóvar. E di come ne parlano.

Guardando i suoi film, si capisce che spesso Almodovár parla dell’esperienza stessa del guardare, dello sguardo come forma di esperienza e fonte di conoscenza.

La cinematografia di Almodóvar esamina due diverse istanze di visione. C’è una visione povera, cattiva, fuorviante che, volendo rappresentare la realtà, ne copre l’essenza con una salsa di volgarità al sapore di reality.

Così, la televisione diventa l’emblema della mediocrità e la fonte di disinformazione. I giornalisti televisivi sono superficiali, come lo è la mitica Rossy De Palma in un cammeo in La Legge del Desiderio.  Oppure senza talento, come la Rebecca di Tacchi a Spillo la quale, non essendo talentuosa come sua madre, non può far altro che presentare il telegiornale. Il più delle volte, però, sono solo pescecani catodici, cinici e senza scrupoli, come in Parla con Lei e Volver.

Rossy De Palma in ‘La Legge del Desiderio’

Il culmine della critica alla televisione arriva con Kika, in cui la conduttrice ‘Andrea la sfregiata’ osserva e trasmette orribili crimini senza far nulla per fermarli. Arriva al punto di andare in giro con una telecamera in testa, nel costume iconico e futuristico disegnato da Jean-Paul Gaultier.

Victoria Abril nel costume ‘con telecamera’ di JP Gaultier in Kika

Un altro esempio è quello delle riprese amatoriali del figlio di Ernesto Matel sul set di Mateo Blanco in Gli Abbracci Spezzati. Quelle riprese svelano segreti che sarebbero dovuti rimanere tali. Le implicazioni nella vita di Mateo e degli altri personaggi saranno di portata incalcolabile.

La televisione, i reality show, le ‘riprese dirette’, insomma, sono soltanto voyeurismo. Il realismo non aiuta a comprendere la realtà, ma serve solo a rappresentarla in maniera sterile, a darla in pasto al consumismo usa-e-getta del pubblico, o a soddisfare curiosità morbose.

Un cinema di sguardi – La Pelle che Abito

Al contrario, la visione dell’opera d’arte amplifica la realtà e aiuta a comprenderla. Il destino dei personaggi di Almodóvar è spesso legato alle storie di altri film.

A partire da questa considerazione è possibile esplicitare due ulteriori caratteristiche del cinema Almodóvariano.

Innanzi tutto, il citazionismo. I film di Almodóvar citano esplicitamente altri film, le cui scene chiave diventano parte integrante delle sue storie.

Eva contro Eva anticipa tragicamente la vicenda di Manuela in Tutto su mia madre. Gli spari di Carne Tremula sono anche gli spari di un film in bianco e nero. Il carattere di Irene, la ‘madre fantasma’ di Volver, si riflette nel volto di Anna Magnani in Bellissima. Mateo e Lena, in Gli Abbracci Spezzati, sono due amanti alla deriva, proprio come gli sposi in crisi di Viaggio in Italia.

Parossisticamente, il citazionismo di Almodóvar spesso diventa un vero e proprio auto-citazionismo. Così, per esempio, la prima scena di Tutto su mia madre è praticamente identica alla prima scena di Il Fiore del mio Segreto. Le somiglianze tematiche fra La legge del desiderio e La Mala Educación sono innegabili.

Al culmine dell’auto-citazionismo, in Gli Abbracci Spezzati Almodóvar mette Mateo Blanco a dirigere un set nel quale si sta girando quello che sembra, a tutti gli effetti, Donne sull’orlo di una crisi di nervi.

Penelope Cruz nel ‘set’ di Gli Abbracci Spezzati

La seconda caratteristica, cruciale per comprendere e apprezzare la cinematografia di Almodóvar, è il rapporto fra arte e vita.

Come già detto, ciò che succede nella vita dei personaggi dei film di Almodóvar è già successo nella vita dei personaggi di altri film. La vita, dunque, non è che la ripetizione delle stesse storie, che diventano tragiche o farsesche a seconda di come o di quante volte siano state ripetute.

Ma non è solo il ‘prodotto’ artistico a influenzare e forse anche rispecchiare la vita. Anche la ‘produzione’ artistica mischia le carte del destino, manda all’aria piani personali, fa deragliare progetti esistenziali.

Per esempio, il protagonista di La Legge del Desiderio è un regista che finirà nei guai a causa di una sceneggiatura che stava scrivendo. Invece, sia parte dell’esuberante Légami! che di La Mala Educación e di Gli Abbracci Spezzati sono ambientati in un set cinematografico.

Antonio Banderas in Légami!

Forse uno dei motivi per cui Almodóvar è un regista così amato e apprezzato è proprio perché il suo è un cinema che parla di cinema. Molti suoi film sono, infatti, grandi dichiarazioni d’amore al grande schermo bianco.

Almodóvar, però, non dichiara il suo amore solo nei confronti del cinema. In un certo senso, nella sua visione estetica, il cinema non è che una delle molte variazioni del raccontare.

Il destino dei personaggi di Almodóvar, infatti, non è segnato solo dal cinema, ma anche da altre espressioni artistiche.

La chiave di volta della disperazione di Amanda Gris, in Il Fiore del mio segreto, sarà il flamenco di Joaquín Cortés, che la costringerà a tornare alla vita. La danza di Pina Bausch sarà sintesi e simbolo delle vicende dei protagonisti di Parla con Lei.

Almodóvar – cantastorie dei cantastorie

In La Legge del Desiderio, Tina si troverà a interpretare sé stessa nello stesso momento in cui si trova sul palcoscenico a interpretare La Voce Umana di Jean Cocteau. Un Tram che si chiama desiderio, di Tennessee Williams, diventa esso stesso uno dei ‘personaggi’ di Tutto su mia madre.

Nel suo ultimo film, Julieta, Almodóvar si spinge fino all’origine stessa del raccontare e utilizza il mito per veicolare l’esistenza della protagonista. Così, occulti presagi, coincidenze, senso di colpa e ‘punizioni divine’ vanno a formare quello che sembra, a tutti gli effetti, un poema epico contemporaneo.

Danza, teatro, mito: sono tutti modi di raccontare che confluiscono e che vengono sintetizzati nel cinema. Il quale, a sua volta, serve a ampliare la struttura del racconto.

È proprio questo amore per il racconto uno dei caratteri salienti del cinema di Almodóvar. Lui stesso una volta disse che, in mancanza dei soldi di Hollywood, una sceneggiatura ben scritta è l’unico effetto speciale che il cinema europeo può permettersi. E, effettivamente, le storie di Almodóvar coinvolgono e emozionano. I suoi film riescono a proporre significati intellettualistici pur essendo colmi di un senso emotivo genuino, popolare.

La vita, dunque, non è che un riflesso dell’arte ispirata alla vita. Tuttavia, Almodóvar è ben consapevole del fatto che nessuna opera d’arte, per quanto potente, sarà mai in grado di catturare l’interezza e la complessità della vita.

Forse è anche per questo motivo che, specialmente nelle sue pellicole più recenti, Almodóvar sembra prediligere una struttura narrativa non-lineare. La sua è una vera e propria lotta con la memoria, i ricordi, il tempo. Una lotta che dimostra come ogni ‘trama’, cioè ogni imposizione di senso, non sia altro che un compromesso, se non un inganno.

E, per lo stesso motivo, a partire (almeno) da Tutto su mia madre, quelli di Almodóvar sono, il più delle volte, finali aperti.

Il ‘silenzio tragico’ di Julieta

Cosa succederà a Manuela di Tutto su mia madre? Marco, di Parla con Lei, troverà finalmente l’amore? Mateo Blanco, di Gli Abbracci Spezzati, tornerà a dirigere grandi film? Che fine farà la protagonista/prigioniera di La Pelle che abito? E riuscirà Julieta a risollevare le sorti della sua tragica storia familiare?

Lo spettatore al massimo ‘immagina’ come proseguiranno le vite dei personaggi, ma senza averne mai la certezza. Come nella vita, in fondo.

Perché, se da un lato comprendiamo le nostre vite grazie a un film, un’opera teatrale o un libro, la vita stessa va avanti ben oltre la parola Fine. Costringendoci a vivere immaginando ciò che verrà dopo ma, purtroppo o per fortuna, senza averne mai alcuna certezza.