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CICLO ALMODÓVAR: Tutto su mia madre (1999)

Articolo a cura di Vincenzo Politi 

Il 2017 sarà la settima volta di Pedro Almodóvar al Festival di Cannes. Questa volta in qualità di giudice. Per omaggiare il regista iberico, JAMovie ha pensato a un ciclo a lui dedicato. Quale film migliore per aprire il Ciclo Almodóvar, se non quello che gli fece conquistare la Palma come Miglior Regista?

Tutto su mia madre è il tredicesimo lungometraggio di Almodóvar. All’epoca, fu un successo clamoroso. Premio per la miglior regia a Cannes, l’ambito Oscar come miglior film straniero, Davide di Donatello, Premio BAFTA, Premio Goya, Premio César, eccetera eccetera… Il film mise d’accordo tutti, pubblico e critica.

La critica, soprattutto, volle premiare il ‘cambio di tono’ rispetto a (molte) opere precedenti. Effettivamente, Tutto su mia madre appare ben diverso dalle storie esagerate degli esordi di Almodóvar.

Sempre in bilico fra il trash e il punk, in linea con lo spirito godereccio e trasgressivo della movida madrilena post-regime, le prime fatiche di Almodovár erano tutto tranne che roba da red carpet. Con pellicole quali Pepi, Luci, Bom e le ragazze del mucchio (1980), Labirinto di Passioni (1982), L’indiscreto fascino del peccato (1983) e Che ho fatto io per meritare tutto questo (1984), il giovane Pedro cementó la sua reputazione di enfant terrible del cinema spagnolo, un provocateur spavaldo e un po’ osceno.

Premio Oscar come Miglior Film Straniero

In realtà, la svolta di Almodóvar c’era già stata. A partire dai film della seconda metá degli anni Ottanta, le sue storie cominciano a farsi più complesse, a volte persino cupe. I suoi personaggi, pur nella follia che spesso li caratterizza, acquisisono maggiore spessore psicologico. Le sue trame si spingono spesso verso territori alquanto dark. Questo percorso artistico culmina in film come Il fiore del mio segreto (1995) e Carne Tremula (1997), più simili a melodrammi tradizionali che ai pastiches underground degli esordi.

Nonostante, dunque, non rappresenti il vero punto di rottura o svolta nella cinematografia di Almodóvar, a quasi vent’anni di distanza Tutto su mia madre conserva ancora un fascino tutto suo. A cosa si deve il successo di questa pellicola?

Come spesso accade al cinema, il tutto supera la somma delle parti. Anche in questo caso, il segreto del film non è la sceneggiatura, la recitazione, la regia o la storia. Ció che rende Tutto su mia madre un capolavoro è il perfetto equilibrio di tutti questi aspetti. Ci sono, peró, alcuni elementi che meritano di essere posti in evidenza.

Innanzi tutto, la cittá di Barcellona. Rispetto alla capitale, Barcellona possiede un carattere diverso. La perla della Catalogna sa essere cosmopolita ma anche fredda. Cittá di mare sì, ma ai piedi di un’austera montagna. Le sue stradine medioevali sono ben diverse dagli imponenti viali di Madrid: non a caso, proprio Barcellona è il teatro perfetto per le storie noir e demoniache che scaturiscono dalla penna di Carlos Ruiz Zafón. Poi, peró, appena usciti da un vicolo oscuro ci si imbatte nel surrealismo magnetico di qualche edificio di Gaudí. Barcellona, insomma, è una cittá duplice, ambigua. La cittá ideale per un film che fa della duplicitá e dell’ambiguitá la sua chiave di volta.

Tutto su mia madre è uno dei pochi film che Almodóvar non ha ambientato nella sua frenetica e folle Madrid. Manuela, la protagonista interpretata da Cecilia Roth, è argentina. Sia il regista che la sua protagonista, dunque, a Barcellona ‘giocano fuori casa’. Il risultato è che la Barcellona di Manuela (e, indirettamente, di Almodóvar) è come la Parigi di Henry Miller o la Berlino di Christopher Isherwood. Ovvero, una cittá osservata, ricostruita e interpretata da uno sguardo forestiero.

Per le strade di Barcellona

La Barcellona di Almodóvar contiene (almeno) tre ceti sociali. Il ceto borghese, in crisi, che vive di facciata, rappresentato dalla famiglia di Rosa, la fragile suora missionaria interpretata da una Penelope Cruz in stato di grazia. Il ceto intellettuale e bohémienne, rappresentato dalla compagnia degli attori. Infine, la classe dei reietti, degli emarginati: prostitute e tossicomani che vagano nella notte, non troppo lontani dalle bellissime guglie della Sacrada Familia, che guardano sempre verso il cielo e mai il popolo in basso.

In questa Barcellona coloratissima e contradditoria, Almodóvar ambienta un melodramma di forte impatto emotivo, straordinariamente a metá fra la tragedia greca e le telenovelas sudamericane.

Ma Tutto su mia madre è, soprattutto, un film che parla di recitazione, di finzione, delle maschere che portiamo addosso, interpretandole. È, anche, un film che parla di teatro e del rapporto fra arte e vita.

I personaggi di Tutto su mia madre sono fatalmente condannati a rivivere sul palcoscenico della propria vita ció che si consuma sul palcoscenico del teatro.

Huma Rojo, la diva in camerino

Manuela è un’infermiera. Ma è anche un’attrice. Che finisce col subire sulla propria pelle ciò che di solito ‘rappresenta’ davanti ai suoi pazienti.

Un tram che si chiama desiderio, celebre piéce di Tennesse Williams, segna tutta la sua esistenza. Per una di quelle strane coincidenze proibite alla peggior letteratura, Manuela finisce sul palcoscenico a interpretare il personaggio di Stella. Cioé, in un certo senso, a (re)interpretare sé stessa.

Impressionata dal dramma personale di Manuela, la diva Huma, incarnata dalla grande Marisa Paredes, decide di portare in scena alcune poesie, perpetuando il gioco dell’arte che imita la vita che imita l’arte.

Il teatro che entra nella vita

Oltre a essere un film sul teatro, Tutto su mia madre è anche un film sui film sul teatro. E un omaggio alle loro grandi attrici. Come si legge nei titoli di coda, Almodóvar dedica la pellicola a Bette Davis, Gena Rowlands e Romy Schneider. Riferimenti più o meno espliciti a queste tre grandi attrici compaiono in tutto il film.

Eva contro Eva (1950)

All’inizio del film, Manuela guarda Eva contro Eva, in cui Bette Davies interpreta una ferocissima diva di Broadway. Una scena in particolare, ancora una volta, sembra presagire quello che incomberà nella sua vita.

Le attrici della compagnia teatrale ricordano la tormentata Nadine Chevalier, in L’importante è amare, del visionario  Andrzej Zulawski. È Romy Schneider – che, per sua stessa ammissione, nel film di Zulawski ci regala l’interpretazione migliore di tutta la sua carriera – a prestare il volto a Nadine, un’attrice che porta sul palcoscenico la propria disperazione.

Romy Schneider in ‘L’importante è amare’

Per quel che riguarda Gena Rowlands, Almodóvar la omaggia citando un film girato col marito John Cassavetes. Il dramma di Manuela, infatti, prende il via con una scena identica a quella iniziale di La Sera della Prima.

La Sera della Prima (1977)

Il teatro, origine e culla della recitazione, e quindi anche del cinema, diventa anche termometro dei tempi che cambiano. Nell’Antica Grecia, la recitazione era consentita solo agli uomini, che interpretavano anche i ruoli femminili. In Tutto su mia madre, al contrario, il cast è prevalentemente femminile. Le protagoniste sono tutte donne. Anche i protagonisti maschili sono, in un certo senso, donne.

Emblematico, a questo riguardo, il personaggio di Agrado, il transessuale (pre-operazione). Ma ecco che la magia del cinema ci mette di suo, moltiplicando il gioco di specchi. Il personaggio del transessuale pre-operazione, infatti, è interpretato da una donna, la caratterista Antonia San Juan. Ci troviamo di fronte, dunque, a una donna che interpreta un uomo che vuole essere una donna.

Agrado, transessuale da palcoscenico

Il bello è che tutti questi elementi meta-narrativi non appesantiscono il film. In un certo senso, queste complessità ‘spariscono’ in un film scorrevole, dai sentimenti popolari. Con Tutto su mia madre, insomma, Almodóvar realizza un film intellettualmente solido, ma non intellettualistico.

Almodóvar ha dunque mantenuto una mano leggera su tutte le suggestioni relative al rapporto fra arte e vita, verità e rappresentazione, persone e personaggi. In fondo, non succede sempre così? Quante volte ci fermiamo a pensare se stiamo vivendo come le persone che siamo o come le machere che indossiamo? Quante volte ci fermiamo a chiederci chi siamo?

“… a tutte le donne che recitano…”

Forse, attraversiamo le nostre vite, fra alti e bassi, gioie e dolori, senza accorgerci di noi stessi. Perché in fondo, come Tutto su mia madre ci insegna, maschi o femmine ci si nasce. Per diventare uomini o donne, invece, occorre talento.