Alice (Florence Pugh) e Jack Chambers (Harry Styles) vivono nella comunità di Victory, la città sperimentale che ospita nuclei familiari che lavorano a un progetto top secret. Un’isolata realtà socio-aziendale voluta dall’inquietante amministratore delegato Frank (Chris Pine) e da sua moglie Shelley (Gemma Chan)
Dramma distopico sospeso tra saggio di psicanalisi e aperta critica alla società patriarcale e protocapitalista (lavora, produci, crepa), Don’t Worry Darling è un film chiccoso e paraculo.
Partiamo da quest’ultima prosaica aggettivazione. La pellicola di Olivia Wilde è in effetti un compendio di film suggestivi che sicuramente hanno influenzato l’autrice (Katie Silberman), nella scrittura e la Wilde (che si ritaglia la pregevole parte di Bunny) nella realizzazione del film. L’attrice e regista ha dichiarato di essersi ispirata a a Inception di Christopher Nolan, Matrix delle sorelle Wachowski e The Truman Show di Peter Weir.
Ma la lista non finisce qui, di riferimenti espliciti, ce ne sono a palate: Pleasantville di Gary Ross del 1998, Il tredicesimo piano di Josef Rusnak del 1999, La fabbrica delle mogli di Bryan Forbes del 1975 (e il suo remake del 2004, La donna perfetta con Nicole Kidman) fino al più recente e lisergico Midsommar di Ari Aster, con il quale condivide l’isolamento sociale e allucinogeno di una comunità e della sua stessa protagonista, la bella e brava Florence Pugh.
Quindi si può serenamente affermare che la quota paraculaggine di Don’t Worry Darling, sta tutta nella componente derivativa, che non può essere trascurata, perché passa con troppa disinvoltura dall’hommage al furto creativo.
Ciò che invece spicca maggiormente nella pellicola della Wilde sono le ottime interpretazioni di Florence Pugh, la Wilde e Gemma Chan su tutti.
Ma anche Chris Pine (sorprende questa sua seconda vita professionale) e Nick Kroll che meriterebbe ruoli più importanti.
Quanto alla pop star Harry Styles (che avevamo già visto in Dunkirk di Nolan) è ancora un passo indietro rispetto ai suoi colleghi e sembra spesso spaesato, soprattutto nei dialoghi/monologhi coniugali con la Pugh.
Ma Syles ha l’indubbio merito di essere stato al centro di tutta la volontaria e involontaria promozione del film. L’ex super star degli One Direction infatti ha lasciato la Pugh (che a sua volta aveva lasciato Zach Braff) per mettersi con Olivia Wilde. Travolta dalla passione l’attrice ha quindi strappato il cuore a Jason Sudeikis, che aveva fatto pure visita con i figlioletti sul set del film, tra l’imbarazzo generale della troupe, consapevole della relazione di Olivia e Harry. Tanto per aggiungere un po’ di pepe, Styles ha inoltre sputato (o forse no) sul povero Chris Pine , durante la tanto discussa première al Lido.
Chiusa questa parentesi gossip e tornando alla pellicola, possiamo dire che Don’t Worry Darling è un esercizio di stile, pieno di suggestioni visive, che contribuiscono a rendere il film sospeso e inquietante, mentre la parte emozionale viene un po’ troppo compressa dal semplicistico impianto narrativo, prevedibile e scontato, soprattutto nel frettoloso finale.
Insomma uno spettacolo un po’ fine a se stesso, ma piacevole e stimolante (soprattutto per i cinefili più giovani), fatto di ricercate iperboli visive, “inquadrature simmetriche e poi partono i The Chords”. Semi citazione che ci aiuta a sponsorizzare l’ottima ost della pellicola tutta in stile doo-wop che esalta le atmosfere 50’s. Suggestivo e azzeccato l’outro, affidato proprio a Sh-Boom dei The Chords che dice:
“Life could be a dream, if i could take you to a paradise up above”.
Non fa una grinza.