Il 2 Aprile la notizia della morte di Ryuichi Sakamoto ha cominciato a fare il giro del mondo. Quando l’ho saputa, mi sono sentito smarrito. Era malato da tempo ma, così come per David Bowie, l’ho sempre considerato quasi un essere extranaturale, al di sopra di qualsiasi evento terrestre.
Musicista, compositore, autore, produttore, attore nel corso della sua carriera Sakamoto ha aspirato ad essere un artista totale, il più vicino possibile ai nostri grandi artisti del Rinascimento. Deve la sua enorme popolarità alle colonne sonore: da Furyo (dove fu anche attore, insieme guarda un po’ il caso a Bowie) a Revenant di Iñárritu, passando per il sodalizio artistico con Bernardo Bertolucci: Sheltering Sky, Il Piccolo Buddha e soprattutto L’Ultimo Imperatore, per le cui musiche vincerà un Oscar insieme a David Byrne dei Talking Heads. Destino un po’ sui generis per un musicista e studioso di musica colta come lui, capace di sintetizzare e far convergere l’avanguardia di Morricone al minimalismo di John Cage, dai Beatles a Coltrane, da Bach a Debussy. Misteriosi codici di un’estetica terribilmente ultraterrena.
Il suo approdo alla musica pop avviene alla fine degli anni 70’ quando fonda la Yellow Magic Orchestra, band seminale ed angolare dal new wave raffinatissimo, elegante e minimale. Insieme ai Kraftwerk influenzerà tutta la musica elettronica, tecno a venire, fino alle future basi hip hop.
Ma fu appunto con il cinema e con le colonne sonore che diventò famoso in tutto il mondo. Le sue composizioni furono altamente sperimentali, Sakamoto manipolava il suono per creare un unico flusso onirico, qualcosa che nel cinema non si era mai sentito prima, qualcosa a cui lo spettatore non era abituato. La sua musica era malinconica, struggente, delicata. Era figlio del Giappone post atomica, era cresciuto in un paese dilaniato dalla guerra e dalla paura, aveva vissuto a pieno la rivoluzione, la speranza. Per lui la musica non era solo arte ma era vita e il suo vissuto si sente tutto. I silenzi, le ansie, i rumori. In ogni suo brano ritornano passione, dolore, tensione e suggestione.
La musica nei film non si limita a riempire le scene o a sostenere gli attori. La musica è viva, pulsante, sale e scende di tono, tocca le corde dell’anima. La camera riprende la scena, ha uno sguardo fisso e ristretto, la musica no, la musica travalica le scene, la musica esiste oltre le immagini. E la musica per Sakamoto era qualcosa di magnificamente ultraterreno.