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X: A Sexy Horror Story (2022) – La Recensione

X non è soltanto il rating che serve per classificare i contenuti violenti e/o sessualmente espliciti di un film, ma in inglese, foneticamente, ammicca alla parola axe (ascia) elemento ricorrente nel film di Ti West.

Siamo nel 1979 e l’aspirante attrice pornografica Maxine Minx (Mia Goth) intraprende un viaggio attraverso il Texas con il suo fidanzato e produttore Wayne (Martin Henderson), gli attori Bobby-Lynne (Brittany Snow) e Jackson Hole (Scott Mescudi), il regista RJ (Owen Campbell) e la fidanzata Lorraine (Jenna Ortega). La troupe, chiede e ottiene ospitalità da una anziana coppia di redneck locali, Howard e Pearl, all’oscuro delle intenzioni del gruppo di girare un film porno nella loro fattoria.

Primo film della saga, ma anche sequel narrativo di Pearl (rilasciato anch’esso nel 2022) e prequel di MaXXXine (in lavorazione), X: A Sexy Horror Story (il titolo italiano) è un ambizioso rape and revenge in cui due anziani trucidano un gruppo di giovani.

Un vero e proprio scontro generazionale che potremmo estendere anche ad un dimensione metacinematografica. Ossia un confronto tra il grindhouse ’70 e elevated horror. Questa vaga e fastidiosa espressione indica una sottocategoria di genere, tipica degli ultimi 10 anni, che comprende film horror, ma con ambizioni autoriali e trova proprio nella A24, la sua migliore fucina artistica.

Un’operazione nostalgica, dunque, che attinge a piene mani nell’underrated universo ’70, soprattutto nella forma.

Nello specifico X di Ti West è una pellicola che deve molto a registi come Wes Craven e Tobe Hooper.

Ma se a volte questo tipo di film possono impantanarsi i vezzi e virtuosismi un po’ fighetti e fini a se stessi e/o allegorie forzate, X rappresenta invece un perfetto equilibrio tra il piacere dell’immediatezza slasher e le ambizioni d’auteur.

Ti West va oltre, collocando non a caso, la pellicola nel 1979, alle porte di un decennio simbolo dell’illusione capitalista, del lusso e del consumismo sfrenato, usa e getta. Cinematograficamente parlando il passaggio dalla stagione della sala a quella del VHS. Una dichiarazione d’intenti che si palesa nella prima inquadratura in cui si passa (artificiosamente, grazie alle ante della stalla) da un 4:3 al 16:9, rendendo omaggio (lo rifarà similmente in Pearl) alla doorway scene di Sentieri selvaggi (The Searchers), capolavoro fordiano, citato appena 20 anni prima dalla sposa vendicativa di Quentin Tarantino.

Come Uma Thurman per Kill Bill, la musa ispiratrice di questa nuova trilogia è senza alcun dubbio Mia Goth che appare nel doppio ruolo di vittima e carnefice, dando il volto sia a Maxine che a Pearl.

Il primo capitolo di questa trilogia nel complesso è uno spassoso pastiche, operazione raffinata ma ancora (volutamente) semplice, un gioiello perverso e giocoso, meravigliosamente interpretato.

Forse l’amuse-bouche di quella che sarà di certo, una grande abbuffata!