Pearl è speciale e non può accettare una vita che non sia degna di lei.
Prequel di X: A Sexy Horror Story (leggi qui la recensione) e secondo film della trilogia X, Pearl è stato diretto da Ti West e scritto insieme alla protagonista e musa Mia Goth.
E’ il 1918, nel pieno della pandemia influenzale, Pearl (Mia Goth) è una giovane donna che vive con i suoi genitori, immigrati tedeschi, nella loro fattoria in Texas. Suo marito, Howard (Alistair Sewell), presta servizio nella prima guerra mondiale. Il padre di Pearl (Matthew Sunderland) è paralizzato, proprio a causa dell’influenza spagnola e la giovane contadina è succube della severa e prepotente madre, Ruth (Tandi Wright), che insiste perché l’aiuti a prendersi cura del padre infermo e della fattoria.
Ma la ragazza ha sogni più grandi, sogni da Folies Bergère, che possano interrompere quel ciclo infinito di sudore e frustrazione.
L’opening di Pearl (come era già stato per X) è un omaggio alla doorway shot di Sentieri selvaggi. A differenza del sequel però, i colori sono ancora pastello, perché il sangue non è ancora scorso e il dramma non consumato. La prima tra tante references, citazioni e omaggi, con le quali Ti West solletica lo spettatore.
Se X (che suona che axe, appunto ascia) era uno slasher retrò che attingeva all’immaginario cinematografico di registi come Wes Craven e Tobe Hooper, Pearl è un horror melò, molto più patinato e in stile Douglas Sirk.
Ritroviamo l’estetica quasi artificiosa, barocca e dimostrativa di Secondo Amore e la tensione drammatica di Come le foglie al vento. Ma Pearl è anche una versione granguignolesca e malata di A Star is Born di Cukor, con una Judy Garland ossessionata dal suo sogno, a cui viene reso omaggio anche grazie al trait d’union con Il mago di Oz.
La giovane Pearl, dalle gote rosse e l’animo inquieto, è infatti una Dorothy in salopette che vuole fuggire dal futuro scritto dalla severa madre e che fa esplodere la sua esuberanza erotica in un ballo pornografico con uno spaventapasseri, rendendo esplicito, l’omaggio al capolavoro di Victor Fleming.
Pearl è un horror atipico, non ha gli stilemi del genere. Non c’è suspense, non ci sono jumpscare e l’identità dell’assassino non è mai in discussione.
L’identità del film e il suo punto di forza è un’anomala e allucinata atmosfera. Art Horror o elevated horror (chiamatelo come preferite) all’ennesima potenza, ma anche perfetta produzione artistica della A24 di Daniel Katz, David Fenkel e John Hodges, che proprio quest’anno spegne dieci candeline. Un incubo lisergico che ha il volto innocente della sua straordinaria interprete.
Mia Goth è semplicemente disarmante.
Un caleidoscopio interpretativo, che lascia trapelare disagio e follia, in modo graduale e con un istintivo e sconfinato talento. Nel climax della pellicola poi, recita un monologo teso e agghiacciante di fronte a Mitsy (Emma Jenkins-Purro). Ti West non se lo lascia sfuggire e le inchioda la mdp per 8 minuti, in un claustrum emozionale a tratti insopportabile (ripetendosi sui titoli di coda).