Sezione: Venezia 73
Il secondo film italiano in concorso a Venezia ha in affinità con Piuma il tema del viaggio: in Questi Giorni i protagonisti partono però sul serio per accompagnare uno di loro (Caterina) verso forse un nuovo inizio che si chiama Belgrado.
Si evince chiaramente che le quattro ragazze (Liliana, Caterina, Angela e Anna) del nuovo film di Giuseppe Piccioni sono un gruppo di persone distanti, accumunate dall’ordinarietà che li ha portate a stare insieme. C’è di più oltre questo, oltre gli sguardi tristi e le cose non dette?
Questi Giorni indirizza la propria voce ricercando un segno, un qualcosa di indefinito, una speranza; ci riesce? Se volessimo fare un paragone calcistico diremmo che Questi Giorni tiene troppo palla non finalizzando il suo gioco; un gioco che ambisce ad essere serioso, riflessivo descrivendo delle giovani il cui io, è celato sotto una maschera di acidità e cinismo, come quella di Caterina, mai veramente comprensibile.
Inoltre questa ipotetica analisi del proprio essere passa attraverso i consueti approcci con l’altro sesso, inserendo situazioni che poco c’entrano con le personalità presentante. Per non parlare di figure inspiegabili come il professore balbuziente interpretato da Filippo Timi, del padre pugliese che fa dell’ospitalità a tavola il suo timbro, di individui che dinanzi ad una situazione triste riescono a sfogarsi solo con uno sconosciuto.
Anche le performance attoriali sono troppo sostenute, apprezzabile come tono e presenza scenica quella di Laura Adriani, cresciuta dai tempi delle fiction alla Cesaroni.
Per il resto Questi Giorni è un film inconsistente che non assume la precisa forma verso un distinto racconto di formazione, se mai ambiva ad esserlo.