Piuma

Sezione: Venezia 73


Piuma, il terzo lungometraggio di Roan Johnson, ha molto in comune con Tommaso di Kim Rossi Stuart: sono due film italiani, hanno lo stesso produttore (Carlo Degli Esposti), ed entrambi sono film riconosciuti di  interesse culturale con contributo economico del  ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo-Direzione Generale per il Cinema (forse bisognerebbe seguire il consiglio del personaggio interpretato da Oscar Martínez nel El ciudadano ilustre e smetterla di parlare di promozione della cultura, di cultura come progresso laddove vi è  una società indifferente). Ho fatto questa premessa per evidenziare i limiti che il nostro cinema continua a perpetuare nel trasporre con estrema superficialità certe tematiche.

In Piuma Ferro e Cate sono alle prese con l’esame di maturità, la prova più dura da affrontare è quella che gli attende: Cate infatti è incinta; le possibilità della vacanza post-maturità svaniscono in fretta ma i ragazzi sono sereni, molto più tranquilli delle rispettive famiglie: i genitori di Ferro, specie il padre, insofferente alle cazzate del figlio, il padre di lei un soggetto che non riesce a tenersi un lavoro, figuriamoci sostenere una figlia con bebè in arrivo. Cate e Ferro viaggiano letteralmente sulla stessa tonalità: il verde, il turchese sono i colori con i quali li vediamo per quasi tutto il film, segno di una spensieratezza e dell’ingenuità con le quali agiscono. Vi chiederete allora dove si insinua la superficialità di cui parlavo inizialmente: la debolezza viene fuori ogni qual volta si sceglie di ingraziarsi il pubblico ricorrendo ad espedienti che fanno sembrare il tutto coerente al racconto.

L’espediente di Piuma è il grottesco, il suo narrare con dialoghi caricaturali, portati all’eccesso da personaggi altrettanto inverosimili. Attenzione, ai più la risata scapperà e la sensazione di guardare un film piacevole e fiabesco non mancherà.
E’ il grande tranello di una sceneggiatura che fa di questa ostentata leggerezza, in realtà  una stasi, un valore.
Ma della gravidanza, dell’umore di una giovane ragazza, delle sue paure, delle responsabilità che chiameranno i ragazzi non traspare niente, emerge invece una narrazione che fa dello sketch la sua bussola.

Piuma non ha nulla di provocante, aggettivo con cui è stato dipinto dai vertici della Biennale, ed originale, anzi sfrutta elementi sufficientemente proposti negli ultimi anni: il viaggio post esame, genitori egoisti e sciagurati a cui i figli fanno la paternale. Insomma dopo il buon Fino Qui a Tutto Bene Roan Johnson con Piuma realizza una fiera di banalità.

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Redattore

- Il cinema per me è come un goal alla Del Piero, qualcosa che ti entra dentro all'improvviso e che ti coinvolge totalmente. È una passione divorante, un amore che non conosce fine, sempre da esplorare. Lo respiro tutto o quasi: dai film commerciali a quelli definiti banalmente autoriali, impegnati, indipendenti. Mi distinguo per una marcata inclinazione al dramma, colpa del Bruce Wayne in me da sempre. Qualche gargamella italiano un tempo disse che di cultura non si mangia, la mia missione è smentire questi sciacalli, nel frattempo mi cibo attraverso il cinema, zucchero dolce e amaro dell'esistenza -