Roman Polański, all’età di ottantaquattro anni ci propone la sua ultima opera Quello che non so di lei, con Emmanuelle Seigner ed Eva Green.
Maestro dagli anni ’60 ancora attuale e vincitore del premio Oscar alla miglior regia nel 2003 per Il Pianista, Roman Polański è tornato nelle sale cinematografiche con un film innovativo nella sua lunga filmografia. Quello che non so di lei è basato sull’ultimo romanzo autobiografico della scrittrice francese Delphine de Vigan, bestseller in Francia. Distribuito nei cinema dal 1 Marzo 2018 in Italia, il film venne presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2017.
Delphine Dayrieux (Emmanuelle Seigner) è una famosa scrittrice, protagonista di una nuova ondata di popolarità dopo la pubblicazione del suo ultimo libro. Il best seller di Delphine è dedicato alla madre e causa ira in qualcuno. Delle lettere di minaccia cominciano misteriosamente ad arrivare a casa della donna. Ella viene accusata di aver infangato il nome della famiglia raccontando cose private mescolate a falsità.
Soffrendo di depressione, questi nuovi avvenimenti aumentano in lei il ”blocco dello scrittore”. La situazione però sembra migliorare quando qualcun altro prende in mano le redini della sua vita. Un’enigmatica, sensuale e astuta donna presentatasi alla presentazione del libro, comincia ad insinuarsi nelle abitudini di Delphine. Lei (Eva Green), in lingua originale L (Elle) è un’accanita lettrice dei suoi libri e desidera aiutarla.
L’intento della giovane è spronare Delphine a scrivere il suo ”libro segreto”, ma a poco a poco, il suo aiuto la destabilizzerà. La sconosciuta, infatti, assumerà sempre di più un comportamento assillante, invadente e alquanto pericoloso.
Quello che Polański ha sempre fatto egregiamente col suo cinema, è raccontare storie intricate che piantano le proprie radici nella claustrofobia psichica. Come già fatto con La nona porta e L’uomo nell’ombra, qui il regista attira l’attenzione su un oggetto: il libro.
Il libro, in questi casi, può essere motivo di nuovi incontri, di scoperte allucinanti e di viaggi verso mondi inesplorati: un macguffin iniziale che giunge poi al suo senso finale.
L’ignoto e l’ansietà in Quello che non so di lei, vengono rinchiusi tra le pareti di una casa, come in Rosemary’s Baby, L’inquilino del terzo piano, Repulsione e il più recente Carnage. La sensazione, durante la visione, è quella di trovarsi davanti a un lieve e mite atto di riverenza verso Misery, di Stephen King.
Il regista polacco riesce a dimostrare di essere ancora un maestro del cinema dell’ossessione, della poetica perversione e del distacco tra realtà e surrealismo.
Come nell’eccentrico e geniale Venere in pelliccia, il sottile confine tra verità e finzione è, così, sempre vacillante, dubbioso. Polański è un autore che, fino ad ora, non ha mai perso il proprio tocco autoriale. Roman, difatti, ha continuato lungo la sua sfavillante carriera, a rientrare nei suoi precisi e singolari stilemi. Ciò, sempre usando la strada dell’evoluzione interiore mantenendo però vivida la propria impronta distintiva.
Polański sperimenta nuovi percorsi di narrazione lungo i suoi schemi prestabiliti, utilizzando la chiave della reinvenzione.
Emanuelle Seigner, che è sempre stata la femme fatale dal tocco malvagio e rischioso, cambia aspetto e impersona la vittima. Goffa, trasandata, con poca personalità, ingenua e fragile. Un personaggio così smorto alle prese con una lotta, fisica e psichica contro Lei. Un’ineffabile Eva Green su un ruolo cucitole addosso: quello della furba, calcolatrice, manipolatrice dark lady.
In Quello che non so di lei Polański sa gestire benissimo due ”oscure” del cinema in un duello folle, ma che, però, non osa abbastanza. L’impatto visivo del suo cinema è vivido nelle atmosfere, ma manca nella sceneggiatura in collaborazione con Olivier Assayas, dotata di poca potenza, poca violenza e poco effetto.
Con l’aiuto dello stile di Assayas reduce dall’intrigante e allegorico Personal Shopper, Polański riesce però nel suo intento, pur non superando appieno le aspettative. Quello di sovrapporre due personaggi differenti e distanti in conflitto, con la costante visione del fatto che possano, da un momento all’altro, divenire la stessa cosa.