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No Time to Die è la fine di Bond come lo conosciamo

No Time to Die

L’ultimo Craig-Bond, si chiude col botto e lascerà senz’altro la platea di spettatori divisa a metà, tra detrattori e estasiati verso le ultime 2 h 43 m del noto agente segreto.

No Time to Die ha di certo portato avanti fino in fondo l’opera di decostruzione e aggiornamento del mito, che già da Casinò Royale – ebbene sì, 15 anni fa – vedeva uno 007 sporco, grezzo nei mezzi; spesso malconcio e decisamente capace di essere ferito sia nella carne che nei sentimenti.

Con buona pace dei conservatori, siamo nel 2021: il presente non è fatto solo dei punti obbligatori da smarcare, per cui è quasi atto dovuto un Q rappresentante della comunità LGBT, una nuova 007 (non una bond girl, chiariamo) di colore. Fattori che poco lasciano nella funzionalità del film. Più strutturato è invece l’impatto del vecchio Bond, le cui cicatrici fisiche ed emotive dettano lo scorrere della storia.

Alcuni passaggi potranno essere difficoltosi o sottostimati per chi non ha seguito le ultime pellicole, dato che si rievocano personaggi da Casinò Royale a Spectre per evidenziare come dietro il volto monolitico di Craig c’è la sofferenza di chi non è mai stato capace di chiudere col passato.

No time to die

Tale messaggio è sublimato anche dalle numerose citazioni per i fan della vecchia guardia. Se a un primo livello si apprezza l’omaggio con le Aston Martin di un tempo – gadget inclusi – e l’ennesima sequenza gunbarrel, questi sono anche i segni del tempo che passa, della nuova DBS guidata dalla giovane Nomi, di richiami musicali melanconici tra il bond del 1969 e quello di No Time to Die.
In una convergenza tra ieri e oggi il prologo italiano è forse perfetta sintesi di tutto il film e di Craig. Bond still got itma tra una sparatoria e un inseguimento c’è sangue, fiatone, persino un cuore infranto.


Bond still got itma tra una sparatoria e un inseguimento c’è sangue, fiatone, persino un cuore infranto.


E così sembra quasi un lungo omaggio alla old school la missione cubana con l’incantevole Ana de Armas, fatta di sparatorie, martini e dress code; il resto della storia è ben diverso, e nonostante il classico villain con annessa deformità, qualche sparuto gadget e scene action serrate, il ciclo Craig si chiude con emozione ma anche mettendo la parola fine sulla figura dell’agente segreto total macho; forse del maschio alfa in generale.

Impossibile che un simile passaggio non crei una spaccatura, ma tenere vivo un personaggio nei decenni significa anche saper adattarlo alla società.

In questo, No Time to Die vince: certo non il miglior Bond della saga Craig (la sua prima comparsa e Skyfall sono dei picchi di qualità), ma senza meno una più che degna conclusione.

L’ultimo saluto al bond di Craig vi aspetta in sala: il cinema è fatto per film come questi.