Ringraziamo la nostra amica e fan Chiara Staffolani per la sua recensione della pellicola di Liza Johnson sul fatidico incontro tra il Re ed il Presidente del “Watergate” .
“Le piace qui?”
“Sì, assomiglia alla mia Graceland!”
21 dicembre 1970: Elvis Presley, Il Re, incontra Richard Nixon, 37° Presidente degli Stati Uniti d’America, alla Casa Bianca. Un evento straordinario, “Il Re” e il Presidente nella stessa stanza, come testimoniato dalla foto più richiesta agli Archivi di Stato di Washington.
Ma come si è arrivati a ciò? Come è stato possibile far incontrare il più famoso cantante americano dell’epoca (ma probabilmente di tutti i tempi) e uno tra i presidenti più discussi che l’America abbia mai avuto, protagonista, qualche anno dopo, dello scandalo Watergate? E’ quello che il film di Liza Johnson racconta, mettendo in scena un evento realmente accaduto e che, ancora oggi, sembra avere dell’incredibile.
Elvis Presley è ossessionato dall’idea di incontrare il Presidente, vuole esporgli le sue teorie per combattere i numerosi mali da cui l’America è minacciata e diventare “Agente Federale Aggiunto” (qualifica della cui esistenza dubitano perfino i più stretti collaboratori di Nixon). Il cantante si porta dietro lungo tutto il film l’ossessione per quel distintivo, retaggio della sua infanzia, così come la scrittura bambinesca con cui verga la lettera che consegna al presidente. Nixon non vuole assolutamente incontrare l’artista, non si rende conto, come invece fanno i suoi collaboratori, di quanto ciò possa giovare alla sua reputazione, in quel periodo in caduta libera. Come superare allora l’empasse? Giocando la carta “figlia di Nixon e fan di Presley” e contando sul fatto che nemmeno l’uomo più potente del mondo può sottrarsi ai doveri genitoriali. E così, le porte dello Studio Ovale si aprono finalmente al cantante, non senza esserci gustati, prima, l’illustrazione delle regole del protocollo da seguire: una sequenza in cui vengono chiariti, punto per punto, tutti i passaggi da fare o tassativamente da evitare, sia da parte di Elvis che di Nixon… e che invece saranno rigorosamente sovvertiti: dalla Dr. Peppers alle M&M’s, dalla foto all’autografo, fino ad arrivare al dono che Presley ha portato per Nixon: una pistola!
Si ride in questo film, in certi punti davvero di cuore, ma tutta la pellicola è pervasa da un filo di malinconia: siamo nel 1970, Elvis, seppur adorato dalle folle ed emulato da decine di imitatori (notevole la scena in aeroporto, quando incontra un suo sosia che non lo riconosce) , ha iniziato a perdere parte del suo smalto, è terrorizzato dall’età che avanza e cerca di contrastarla come può (eloquente la scena che mostra il contenuto del suo beauty case, con diversi tipi di creme e tinture per capelli), non sopporta i Beatles e la loro ondata di novità, è ossessionato dal pericolo del comunismo e della droga.
La recitazione di Michael Shannon è allora magistrale: non si gioca tanto sulla somiglianza fisica, ma sulla sua trasformazione in Elvis, con le sue manie e ossessioni. Il Nixon interpretato da Kevin Spacey è un presidente ancorato sulle sue posizioni, inamovibile o quasi nelle sue decisioni: un conservatore in tutto e per tutto, a cui invano i suoi consiglieri cercano di far cambiare idea per fargli recuperare un po’ di appeal, soprattutto tra i giovani. Se accetta di incontrare Elvis, è solo perché messo alle strette dalla figlia, ma, inaspettatamente, sotto quei costumi carichi di paillettes e quei gioielli di cui è rivestito, trova nel cantante una mente a lui straordinariamente affine.
Non si saprà mai il contenuto di quel colloquio, né di quelli a seguire: resta il fatto che il film della Johnson ha il merito di aprirci le porte dello Studio Ovale e raccontarci una pagina di storia americana, quella scritta da due icone apparentemente lontanissime tra loro, ma in realtà più vicine di quello che si crede.