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Tolkien – La Recensione

E’ arrivato in sala il tanto atteso biopic su J.R.R. Tolkien, celebre maestro del genere fantasy, noto principalmente per Lo Hobbit e il Il Signore degli Anelli.

Il progetto, ambizioso e carico di aspettative, scritto da David Gleeson e Stephen Beresford, è stato affidato al regista finlandese Dome Karukoski. L’autore è curiosamente reduce da un altro film biografico Tom of Finland, che racconta la vita di Touko Laaksonen, artista omoerotico finlandese.

Gli autori hanno quindi scelto Nicholas Hoult, il ragazzino che “ammazzava le anatre” in About a Boy, per interpretare il protagonista. Il ruolo della moglie Edith Bratt è invece andato alla bella Lily Collins, recentemente vista al fianco di Zac Efron (i due hanno anche fatto coppia nella vita) in Ted Bundy – Fascino criminale, ma nota al grande pubblico per il ruolo di Biancaneve.

La storia di Tolkien (il film ci tiene a specificare che si pronuncia “toll-keen”) inizia quando il giovanissimo Ronald, orfano e con il fratello minore Hilary (James MacCallum), viene mandato in un collegio inglese per volontà del suo tutore, padre Francis (il sempre bravo Colm Meaney). Quindi l’incontro con la futura moglie Edith e gli studi con i suoi più cari amici. Quattro ragazzi, intelligenti, sensibili, colti e con una ribelle indole artistica, che formano una società segreta chiamata T.C.B.S. – Tea Club and Barrovian Society. Il tutto alternato con continui flashback del periodo in cui il giovane scrittore dovette servire la patria durante la Prima Guerra mondiale.

A questo punto la pellicola si sforza di ricollegare la vita all’arte. Eventi della storia personale di Tolkien alla sua opera.

Come quando la giovane coppia va all’opera per ascoltare Wagner e viene citato il celebre “anello per domarli tutti”. Oppure gli studi con il filologo Joseph Wright (Derek Jacobi), che porteranno alla nascita dell’elfico. Ma soprattutto il ruolo della celebre TCBS, perché questa gradevole ma semplicistica biografia ruota intorno all’importanza dell’amicizia.

Purtroppo, nonostante il lodevole sforzo di tutte le parti (compreso il cast) il risultato risulta in alcuni momenti un po’ noiosetta e didascalica. Ma la storia del cinema ha dimostrato come, a meno che tu non sia Milos Forman o Clint Eastwood, sia più facile ricavare un buon biopic, se ci si limita a prende in considerazione solo un preciso periodo storico. Un esempio su tutti è la differenza tra il film “Jobs” (quello con Ashton Kutcher), agiografico e scontato e dall’altra parte “Steve Jobs” di Danny Boyle, molto più graffiante e a fuoco.

Una pellicola comunque da vedere, ma che potrebbe non piacere a tutti. Sicuramente non agli amanti di “Toll-keen”.