Home Rubriche Outsider Il pranzo di Babette – C’è del cibo in Danimarca

Il pranzo di Babette – C’è del cibo in Danimarca

Premio Oscar nel 1988 come miglior film straniero, Il pranzo di Babette di Gabriel Axel, è tratto dall’omonimo racconto di Karen Blixen. Non è la prima volta che Hollywood si avvale dell’eleganza e della fisicità delle parole della celebre scrittrice danese. Era già accaduto nel 1968 con il film Storia immortale diretto da Orson Welles e con La mia Africa di Sydney Pollack, vincitore di sette Premi Oscar nel 1986.

Sono gli ultimi anni dell’800 e siamo in un piccolo e umile villaggio della Danimarca. Qui vivono due anziane sorelle, Martina e Philippa, così chiamate in onore di Martin Lutero e Filippo Melantone. In giovinezza bellissime e ambite da molti uomini, le ragazze ormai donne, vivono nella memoria del loro defunto padre, un tempo pastore protestante, decano e guida spirituale della piccola località.

Al loro servizio l’umile cuoca e domestica francese Babette. In fuga dai tumulti parigini, la donna era rimasta vedova e povera. Quattordici anni dopo quegli eventi, Babette riceve la notizia di aver vinto diecimila franchi d’oro alla lotteria. Il suo nuovo status la rende così libera di iniziare una nuova vita in piena autonomia. La donna decide però di dedicare alle devote sorelle che l’accolsero anni prima, un ultimo pranzo alla maniera francese (dice lei!). Qualcosa di indimenticabile per celebrare un’importante ricorrenza legata al decano tanto amato nel villaggio.

Ma Martina e Philippa sono da sempre abituate ad una vita modesta, sacrificata agli occhi di Dio e temono i fasti mondani del cibo e del vino parigino paventato dal lauto pasto di Babette.

Dopo tanti anni di onorato servizio però non possono che assecondare la richiesta della domestica francese, che ha premura di specificare che avrebbe pagato con i propri soldi quel pasto.

Il giorno del pranzo Babette darà sfogo a tutte le sue abilità nascoste, preparando portate come il Brodo di tartaruga, i Blinis Demidoff e innaffiando il tutto con Amontillado e Champagne Veuve Clicquot del 1860.

Uno dei punti più alti del pranzo e del film arriva però con la preparazione e del servizio della celebre “Quaglie en Sarcophage”.

Ricetta che, come racconta il generale (uno dei commensali), nasce dalle mani, dalla mente e dal cuore di una chef donna nel celebre Café Anglais di Parigi. Un’opera d’arte culinaria capace di trasformare un banchetto «in una avventura amorosa». Ancora estasiato dal pranzo, l’uomo dirà anche che «rettitudine e felicità si sono baciate», riprendendo le parole che il decano aveva pronunciato in presenza di Babette molti anni prima. Il rispetto per la tradizione culinaria va di pari passo con quella dei nostri cari che non ci sono più, “sfornando” (è il caso di dirlo), un prima importante messaggio allo spettatore/lettore.

Alla fine Babette ammetterà alle sorelle di essere stata proprio lei quella celebre chef del Café Anglais e che non sarebbe più partita per Parigi, poiché l sua vita era ormai in Danimarca. Inoltre Babette ha speso tutti i soldi per quel pranzo, ma che non si sarebbe mai pentita di quel sacrificio poiché «un artista non è mai povero».

E’ forse a questo unto che arriva l’insegnamento più importante di questa casta e timorata pellicola scandinava. La beatificazione della propria anima, non passa attraverso la mortificazione del corpo, ma tramite il rispetto e la gioia di esso. Assecondare le proprie inclinazioni, i propri piaceri e vivere nel continuo protrarsi verso l’atto creativo sia esso il canto o la cucina. Qualunque cosa addolcisca la nostra altrimenti misera ed amara esistenza.

Un piccolo gioiello da vedere sempre come un’ideale trilogia, con “Mangiare bere uomo donna” di Ang Lee e “Big Night” di Stanley Tucci e Campbell Scott.