Nel 1983 un raggio cosmico colpisce colpisce il nostro pianeta, trasformando balordi in mutanti dotati di eccezionali e pericolosi superpoteri.
Gli umani sono quindi costretti a convivere con questi Miscredenti e con le loro razzie. I genitori di Emily Stanton (Octavia Spencer), genetisti di Chicago specializzati nella ricerca sulla mutazione, vengono uccisi. Per la giovane ragazza, portare a termine quegli studi e sconfiggere questi temibili villain, diventa una missione di vita, anche a costo di sacrificare la sua unica amica, l’impacciata Lydia (Melissa McCarthy).
Anni dopo le due ragazze sono diventate donne. Emily, a capo di una multinazionale, è ad un passo dal trasformare un essere umano in un supereroe e Lydia, diventa suo malgrado una cavia di questo esperimento genetico e l’unica speranza per sconfiggere i Miscredenti.
Distribuito da Netflix, Thunder Force di Ben Falcone, regista e marito di Melissa McCarthy, è un superhero movie che punta tutto sulla comicità dell’attrice statunitense.
Se alcune trovate possono strappare qualche risata (su tutte il il Crab interpretato da Jason Bateman con le braccia da granchio e qualche altro situazionismo), gran parte del film è mal concepito, mal diretto e mal scritto.
Il primo problema di Thunder Force sta infatti a monte, nell’approccio di Falcone che si limita al compitino senza dare al film un’identità precisa e scimmiottando maldestramente altri superhero movie. La sceneggiatura è a dir poco imbarazzante, con alti e bassi e incomprensibili momenti di ridondante nulla.
Lo sforzo degli attori (McCarthy su tutti, ma anche Spencer, Bateman e Bobby Cannavale), viene reso vano da personaggi sciatti e noiosi.
Il finale sembra una scazzottata alla Bud Spencer e Terence Hill, ma prevedibile e diretta male (come tutte le scene d’azione).