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The Midnight Sky – La Recensione

Come ogni buon film di fantascienza che si rispetti, anche The Midnight Sky porta un importante fardello: trovare l’equilibrio tra articolate metafore esistenziali e esperienza videoludica da disaster movie.

Allegoria/contenuto da una parte e intrattenimento/ritmo dall’altra.

Il film di George Clooney, che ha da tempo dimostrato di essere un ottimo regista (Good Night and Good Luck, Le Idi di marzo), si sforza di sorprendere e “divertire” lo spettatore mentre cerca di rifilargli tutto ciò che di buono ha scritto Lily Brooks-Dalton, nel suo romanzo d’esordio La distanza tra le stelle.

La storia è ambientata in un futuro post apocalittico dopo un evento di portata mondiale, che ha reso la terra invivibile. L’ultima speranza per l’umanità è rappresentata da K23, una luna di Giove, riscaldata dall’attività vulcanica sotterranea e scoperta da Augustine Lofthouse (George Clooney).

Lo scienziato che vive in un osservatorio nell’Artico è una sorta di Last man on earth, che ha come unico scopo, prima dell’inevitabile, quello di avvertite l’astronave Aether. A bordo del veicolo spaziale ci sono il comandante Gordon (David Oyelowo) insieme alla specialista di missione Sully (Felicity Jones), l’ingegnere Maya (Tiffany Boone), il pilota Mitchell (Kyle Chandler) e l’esperto di aerodinamica Sanchez (Demián Bichir). Tutti i membri dell’equipaggio non sono infatti al corrente della drammatica condizione del loro pianeta.

Diciamo subito che la pellicola si colloca (qualche passo indietro) sulla scia di film come Interstellar (memoria e paternità) e Gravity (caducità e materialità).

Le ambizioni della pellicola sono supportate da una regia molto elegante, da un design avveniristico, dall’ottimo CGI e dalle splendide musiche di Alexandre Desplat . Tra le scene memorabili quella del ritorno a bordo di Maya dopo la passeggiata nello spazio e la catartica Sweet Caroline di Neil Diamond cantata da tutto l’equipaggio con enfasi kitsch da improbabile musical, ma che in fondo ci parla dei “bei tempi andati che non sono mai stati così belli” e di “noi che guardiamo la notte ma non siamo soli”.

L’umanità non è più tale quando smette di tenersi per mano (la scena finale è poesia).

Le cose che non funzionano nel film, però purtroppo ci sono eccome! Se l’estetica è il punto di forza, la sceneggiatura pecca di incomprensibile leggerezza nel modo in cui ignora la caratterizzazione di buona parte dei personaggi dell’equipaggio. In primis Felicity Jones (l’attrice era realmente incinta durante le riprese) la cui performance viene vanificata da uno script troppo grigio. La divisione in due blocchi narrativi completamente separati (il primo è un omaggio al The Road di McCarthy), inoltre, non aiuta le strutture coesive del film e alla fine si rimane con la sensazione di aver visto qualcosa a metà, un film incompiuto, un occasione persa.

Nonostante ciò The Midnight Sky rimane una pellicola assolutamente da non perdere a dispetto delle critiche eccessivamente severe.