Tutto è iniziato nel 1984 con un cyborg assassino dalle fattezze umane programmato per uccidere Sarah Connor.
Quindi nel 1991 è arrivato Judgment Day, pellicola evento, forse uno dei pochi sequel migliori del film originale. Purtroppo la storia è noiosamente andata avanti (e indietro) con T-3, Terminator Salvation e Terminator Genysis.
Fino ad oggi. Present Day o quasi.
James Cameron è tornato in veste di produttore e ha battezzato questo TT, acronimo che non ha a che fare con la parola Terminator, ma con Trending Topic. Quelli che hanno segnato lo scorso anno ossia #MeToo e il Muro della Vergogna di Trump. Allora Terminator: Dark Fate si adegua ai tempi, trasforma uno dei simboli del “machismo” americano per eccellenza, in un film tutto al femminile, che passa attraverso la rabbia del popolo messicano.
Siamo nel 1998, alcuni anni dopo aver sconfitto il temibile T-1000 e dopo aver bloccato l’ascesa delle infernali macchine di Skynet.
John Connor, futuro leader della resistenza umana contro le macchine ribelli, viene ucciso in Guatemala da un T-800 inviato dal futuro prima della cancellazione dello stesso Skynet. Il tutto sotto gli occhi increduli della madre Sarah. Il futuro è nuovamente riscritto. Nel 2020 la donna viene coinvolta in una vicenda del tutto identica a quella che la vide protagonista 35 anni or sono. Una soldatessa ibrido uomo-macchina chiamata Grace ed un modello avanzato “Rev-9”, vengono teletrasportati a Città del Messico, entrambi alla ricerca della giovane Daniella “Dani” Ramos (Natalia Reyes).
Per buona parte del film pensiamo che il protagonista della vicenda sia il ventre materno di Dani, in realtà il vero capovolgimento sul fronte narrativo in ottica femminista è che la giovane donna messicana non è il suo “femminino sacro”.
Il Cristo salvatore è femmina, svincolata dal suo atavico ruolo genitoriale, diventa lei stessa eroina e speranza per l’umanità.
Ma anche il collante narrativo del film non è più i T-800 (interpretato sempre dal grande Schwarzy), ma la Sarah Connor di una splendida Linda Hamilton. Altrettanto “cazzuta” si conferma anche la bella e androgina attrice canadese Mackenzie Davis, che, parlando di fantascienza, si era già fatta notare in The Martian e Blade Runner 2049.
James Cameron si affida agli sceneggiatori David S. Goyer, Justin Rhodes e Billy Ray, in cabina di regia invece c’è Tim Miller (Deadpool). Una crew di professionisti navigati ed esperti del genere. Eppure la sensazione di déjà-vu attanaglia lo spettatore per tutto il film, che gioca coi rimandi finendo però per ripetersi.
Non mancano comunque “momentoni” come la Hamilton che pronuncia “I’ll be back” lanciando una granata da un ponte o il vecchio Schwarzy che si descrive come un umano ironico e qualche altra battuta che rimandano allo spirito del classico “buddy action” di 25/30 anni fa.