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Squid Game – La Recensione

Scritta e diretta da Dong-Hyuk Hwang, Squid Game è un k-drama con tinte horror di nove episodi, disponibile su Netflix che, grazie al passaparola, è diventato virale in poche settimane.

Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) è un uomo particolarmente sfortunato e pieno di debiti. Solo fare un regalo di compleanno per la figlioletta sembra essere un’impresa tra scommesse all’ippodromo e strozzini alle calcagna. Sconfitto dalla vita, questo drop out vive ai margini di una società fortemente individualista e competitiva come quella sudcoreana.

Un giorno Seong viene sfidato da un misterioso uomo ben vestito a ddakji, un giochetto simile a quello che molti di noi facevano con le figurine dei calciatori. Ad ogni partita c’è in ballo un bel gruzzoletto in caso di vittoria e un doloroso schiaffone in caso di sconfitta. Soddisfatto di questo curioso incontro Seong Gi-hun decide di accettare l’invito ad una sorta di reality show mortale in cui 456 persone, accomunate dal fatto di trovarsi in situazioni economiche disperate, devono affrontare una serie di sfide.  I partecipanti dovranno cimentarsi nella replica di alcuni inquietanti e mortali giochi per bambini della cultura coreana, per vincere il premio finale, una somma che li renderebbe miliardari.

Ha inizio così la serie evento 2021, una sorta di Jeux sans frontières truculenti e spietati o ancor meglio un Takeshi’s Castle in cui l’ultimo che rimane in vita si porta tutto il malloppo a casa.

Una serie tv ben strutturata e piena di cliffhanger concepiti per una visione fluida e scorrevole.

Prendendo spunto da romanzi e manga come Battle Royale, Liar Game e Gambling Apocalypse: Kaiji, il regista Hwang mette in piedi una bizzarra allegoria della moderna società capitalista che ammicca al successo planetario e Premio Oscar Parasite (col quale, tra le altre cose, condivide il compositore Jung Jae-il).

Gli elementi derivativi della serie si trovano un po’ ovunque: Battle Royale, Hunger Games, The Cube, Old Boy, Alice in Borderland e As the Gods Will. Quest’ultimo film di Takashi Miike (e ovviamente il manga scritto da Muneyuki Kaneshiro) racconta di alcuni compagni di classe che prendono ordini da una bambola daruma che ha “sostituito” il loro professore e li costringe giocare a “Daruma ga koronda”, una versione giapponese di “uno, due, tre stella” mortale (vi ricorda qualcosa?).

Una serie dunque che ha, con furbizia e mestiere, rubacchiato a destra e a manca, meritando comunque nel complesso tutto questo inaspettato successo.

Il punto di forza di Squid Game è quello di aver strutturato uno show accattivante e ricco di tensione emotiva, che non perde mai di vista il sottotesto socioculturale (classismo e distribuzione della ricchezza), psicologico (malvagità, cupidigia) e geopolitico (Corea del Nord/Corea del Sud).

Una menzione a parte va all’aspetto scenografico di tutta la serie, come i labirintici corridoi e scale quadridimensionali à la Escher.

Binge watching assicurato.