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Sound of Metal – Le Recensioni

Sound of Metal

L’assordante silenzio dell’incomunicabilità.

di Zeno

Il trailer e il materiale promozionale non inganni, Sound of Metal non è un film sulla musica. Non siamo di fronte ad un nuovo Whiplash, no signori. Sound of Metal è un viscerale dramma ancora più intimo ed asciutto del folgorante esordio di Chazelle, che esplora le diverse sfaccettature della solitudine e dell’incomunicabilità. Se vogliamo Sound of Metal è un film di suoni.

Diretto dall’esordiente Darius Marder, scritto e prodotto da Derek Cianfrance, autore e regista di Blue Valentine e Come un Tuono (opera stilisticamente simile), Sound of Metal è la storia di Ruben, batterista, e della sua ragazza Lou, cantante. Insieme fanno metal, perennemente in viaggio e in tour nella profonda provincia americana. La musica e l’amore sono serviti a salvargli la vita visto che lui era un tossicodipendente e lei una depressa con serie tendenze autolesioniste. Insieme stanno programmando il loro futuro musicale e di vita fino a quando una sera durante un concerto Ruben perde l’udito. Così, improvvisamente e in maniera irreversibile. Spinto dal suo sponsor a trascorrere del tempo in una comunità per sordi, lontano da Lou, affrontando i propri conflitti interiori e pratici problemi quotidiani per tornare ad imparare a vivere.

Il film si apre come una supernova, un avvenimento violento e fortemente drammatico (la perdita dell’udito per un musicista è la cosa peggiore che possa capitare). Da lì in poi si lavora di sottrazione, la trama viene asciugata il più possibile, viene narrato solo l’essenziale. A veicolare il tutto l’interpretazione febbrile e mostruosa del protagonista Riz Ahmed. Ruben tiene il dolore tutto per sé, non da segni di cedimento o di rassegnazione. Ma la sua freddezza fa da contraltare all’espressività dei suoi occhi e del suo volto: ora sgranati, ora increduli ora pieni di speranze o di paura. Un’interpretazione destinata a lasciare il segno nella prossima ed imminente stagione dei premi.

Sound of Metal

Sound of Metal ha il merito di non inondarci di melensa retorica, non romanticizza o banalizza la sordità, ma raggiunge l’obiettivo attraverso uno sguardo realistico e sincero grazie ad una colonna sonora sperimentale ed un sapiente uso del sound design e del montaggio: tutto giocato sull’alternarsi di inquadrature ristrette, che si fanno specchio dell’interiorità di Ruben, fatto di suoni ovattati, echi e vibrazioni, con inquadrature larghe in cui si torna ad una realtà sonora oggettiva.

Tutto il film viene costruito intorno al suono: alle sue declinazioni, percezioni, alla sua assenza. Marder lo tratta come un personaggio aggiunto riuscendo a creare un effetto di immersione totale e completo. Grazie al suono vengono a crearsi due mondi: quello oggettivo dell’esterno e quello interiore dentro la testa del protagonista, distorto dalla sordità.

Con una struggente poetica che a tratti ricorda quella di Aronofsky su The Wrestler, coadiuvato da una fotografia desaturata, Marder fa parlare i pensieri dei protagonisti, i loro corpi e stati d’animo. Sound of Metal non è un film sulla sordità ma è un film sull’accettazione di se stessi e del proprio dolore. Provare ad amare ed accettare il cambiamento, anche se si è un batterista che improvvisamente è costretto a fare i conti con un assordante silenzio.

Metallo o non Metallo

di Giuseppe Silipo

La prima fidanzatina d’America e diva del cinema muto Mary Pickford ha detto “Aggiungere il sonoro ai film è pari al mettere il rossetto alla Venere di Milo.”

Lezione fondamentale di questo Sound of Metal, storia di Ruben (Riz Ahmed) un batterista ex tossico uscito dal tunnel grazie alla musica e all’amore incondizionato per Lou (Olivia Cooke). Il ragazzo ora vive ripulito e felice in un camper con la sua amata e pessimi ma salutari centrifughe per poi scatenarsi la sera in piccoli locali, suonando uno sporchissimo post rock a 160 bpm.

Ma il percorso della vita ha questo fastidioso vizio di fottersene dei tuoi progetti e una sera Ruben sente un “dull whir” che in inglese sta per ronzio sordo. L’inizio di un incubo che renderà la vita del musicista più silenziosa dell’82 % circa.

Sordo, una parola che per chiunque viva di e per la musica, vuol dire morte o quasi.

Le strade di Ruben e di Lou si separano. Lui non ha alternative e decide suo malgrado di entrare in una comunità guidata da Joe (Paul Raci) che spiega a chi è affetto di problemi legati alla sordità come sopravvivere in un mondo in cui per fortuna si parla anche troppo.

Qui torna il discorso del “less is more” perché la pellicola dell’esordiente Darius Marder già co-sceneggiatore di Come un tuono, è un film di sottrazione.

La regia è sobria e sempre al servizio di una storia lineare e dolorosa. La recitazione di Riz Ahmed sempre in overacting nelle suo precedenti esperienze come Il fondamentalista riluttante o The Night Of, qui asciuga la sua performance di lacrime o urla, recitando proprio come quel “dull whir” di cui sopra.

Sound of Metal è una tesi cinematografica sull’uso e sul senso del suono, nella vita e nell’arte. Perché parafrasando un vecchio adagio, non conta quante parole diciamo ma quali e a chi.

Da un punto di vista squisitamente tecnico è importante sottolineare il lavoro del sound design di Nicolas Becker capace di regalarci una straordinaria esperienza immersiva simile ad una serie di barotrauma, o meglio quella sensazione di pressione sulle orecchie per le discese a valle o le immersioni sott’acqua. Ovattamenti, silenzi assordanti ed esplosioni distanti che rendono le asonorità di Sound of Metal neanche tanto diverso dai suoi dello spazio di Gravity, dove guarda caso ha lavorato anche Nicolas Becker.

Ma se parliamo di associazioni cinematografiche allora la memoria ritorna indietro di quasi 20 anni a quel capolavoro che fu Sur mes lèvres di Jacques Audiard con Emmanuelle Devos e Vincent Cassel.

Parlando di interpreti francesi, nella pellicola di Marder troviamo un breve ma prezioso contributo di Mathieu Amalric nel ruolo di Richard Berger, padre di Lou che arricchisce il film di un subplot appena accennato, ma che lascia intravedere un fascinoso spessore narrativo.

In tutto ciò la storia nella storia che resta fuori dalla pellicola ma che val la pena raccontare, è quella di Derek Cianfrance che ha firmato insieme a Marder, Come un tuono con Ryan Gosling. Appassionato di musica e autore di documentari sui Run DMC e Puff Daddy , il regista ex batterista affetto da acufene, avrebbe dovuto girare un film dal titolo Metalhead, poi regalato al suo amico e co-sceneggiatore Darius Marder che ne ha tirato fuori questo un piccolo gioiello.