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I segreti di Wind River – La recensione

As Long As Grass Grows or Water Runs

Cory Lambert (Jeremy Renner) è un agente della forestale, la  U.S. Fish and Wildlife Service dello Stato del Wyoming.
Le sue principali responsabilità sono quelle di dare la caccia ai grandi predatori che ad ogni stagione invernale minacciano le fattorie locali.
Ma Cory ha un passato che lo tormenta, la morte di una giovane figlia per assideramento, avvenuta in circostanze non del tutto chiarite più di un anno prima.
Quando durante una sua spedizione rinviene il corpo, violentato e congelato, della giovane Natalie (Kelsey Asbille Chow), una ragazza del posto, amica di sua figlia, Cory verrà coinvolto nelle indagini per le sue capacità di segugio e per la conoscenza dei luoghi in cui vive da sempre.
Ad occuparsi del caso sarà la giovane e tenace Jane Banner (Elizabeth Olsen).
I due concentreranno i loro sospetti sul nuovo fidanzato della giovane Natalie, un certo Matt (Jon Bernthal).

Premio per la Miglior Regia alla 70ma edizione del Festival di Cannes nella sezione ‘Un Certain Regard‘, il nuovo film di Taylor Sheridan è un new western che si ispira alla narrativa di Cormac McCarthy, strizzando l’occhio a film come Soldi Sporchi di Sam Raimi e Le Tre Sepolture di Tommy Lee Jones, scritto dallo sceneggiatore messicano Guillermo Arriaga, storico collaboratore di Iñárritu e a sua volta grande estimatore di McCarthy.
Il cerchio si chiude in questa pellicola che non si risparmia nell’impietosa condanna al male che serpeggia tra i ben definiti dogmi della selvaggia natura del Wyoming dove I lupi non uccidono i cervi sfortunati, uccidono i più deboli.

I segreti di Wind River è anche l’ultimo film di un’ideale trilogia sulla frontiera americana, scritta proprio da Sheridan a partire dal Sicario diretto da Denis Villeneuve e Hell or High Water di David Mackenzie.
Film con i quali Wind River condivide il lavoro dell’autore sul concetto di spazio aperto, selvaggio e ostile, come contrappunto alle singole psicologie dei personaggi scritti da Sheridan, introflessi ed emotivamente macchinosi.
Un lavoro straordinario che trasforma lo spazio intorno a noi in un personaggio aggiuntivo.
Personaggio che in tutta la trilogia, interviene al fine di controbilanciare l’etica della storia. Emblematico a tal proposito il ruolo della natura impervia nel finale catartico di questo terzo capitolo della trilogia, che in tutta la trilogia, interviene al fine di controbilanciare l’etica della storia.

I Segreti di Wind River rappresenta inoltre l’ennesimo esempio del frustrante senso di colpa tutta white american, nei confronti del genocidio e della segregazione dei nativi americani.
Cancellati dalle mappe antropologiche gli indiani vennero quindi ghettizzati in queste desolate riserve naturali ai confini socioculturali degli States.
Terre lontane mille miglia dall’American Dream e dai suoi lustrini.

Quel senso di colpa nato dopo il 1830 con lo storico Indian Removal Act, legge che di fatto deportò migliaia di nativi dal sud, verso le vaste e fredde terre del nord ovest con la promessa che sarebbero state di loro proprietà Finché l’erba crescerà e l’acqua scorrerà.
Ma per far ciò gli indiani d’America furono costretti ad una marcia forzata ribattezzata il Sentiero delle lacrime durante la quale perirono un terzo dei pellerossa.
E’ proprio questo il cuore esegetico della pellicola.
La funerea ultima fuga, scalza, della giovane Natalie nel film di Sheridan è senza alcun dubbio la messa in scena moderna di quella drammatica collettiva trenodia che deportò e uccise migliaia di nativi americani.

Film urgente e sentito,  che meritava sicuramente una maggiore considerazione dall’Accademy, la pellicola è stata invece condannata dal contrappasso ipocrita della legittima causa #metoo, e dalla vicenda di Harvey Weinstein, originariamente distributore del film, costretto poi a venderla alla Lionsgate.
Un paradosso per un film che parla di un femminicidio.

 

Recensione a cura di Giuseppe Silipo