Mario Martone si cimenta nella messa in scena della vita dell’attore e commediografo italiano Eduardo Scarpetta, trasformandola in un’epopea di arte e famiglia con mattatore unico Toni Servillo.
“Qui rido io” è l’epigrafe apposta a Villa La Santarella, residenza di Scarpetta, in quanto la stessa dimora è stata ottenuta dagli incassi di un’unica rappresentazione teatrale. Questo dà il senso dell’importanza della figura di Scarpetta: un’ istituzione artistica, un simbolo popolare, con la sua arte che fa il pieno di pubblico e il suo personaggio, Felice Sciosciammocca, pari ad un nuovo Pulcinella e pertanto destinato all’immortalità. E insieme a lui tutta la sua disfunzionale famiglia tra amanti tenute tutte sotto lo stesso tetto e figli illegittimi, in una grande casa dove “nessuno conosce vergogna” e nella quale Scarpetta è padrone e patriarca, amante, padre e zio di tutti i piccoli nati, come ad esempio i tre figli dell’amata Luisa: Peppino, Eduardo e Titina.
Si esatto, proprio i De Filippo, che di Scarpetta ereditano il talento e la passione per l’arte e la commedia, dando vita ad una nuova Storia della commedia napoletana ed italiana.
Eppure la fama di Scarpetta non gli impedisce di cozzare contro il Vate D’Annunzio, di cui parodiò un’opera teatrale e che lo portò in tribunale. Così anche il processo diventa un palco, una farsa, in cui Scarpetta trasforma la situazione di svantaggio in vittoria.
La regia di Martone esalta le scene e la recitazione di tutto il cast (già di livello altissimo, due su tutti Maria Nazionale e Gianfelice Imparato), in una coralità che si sposa con una sceneggiatura solida, dando vita ad una narrazione fluida per un film di più di due ore, ma assolutamente godibile.
Monumentale Toni Servillo, in un film che potrebbe regalargli meritatamente la Coppa Volpi.
Articolo a cura de La Sposa