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Parasite – La Recensione

E’ tutto così metaforico ripete più volte Ki-woo (Choi Woo-shik) nel corso di questa straordinaria pellicola, Parasite (Gisaengchung), vincitrice della Palma d’Oro al Festival di Cannes di quest’anno.
Sì, perché ogni singolo tassello del film, dai dialoghi ai movimenti di camera, è la metafora di un tema che Bong Joon-ho aveva già trattato nel suo precedente lavoro Snowpiercer: la lotta di classe, l’incontro e lo scontro tra poveri e ricchi e le catastrofiche conseguenze che ne scaturiscono.
Se nella precedente pellicola si era servito di un una storia fantascientifica post-apocalittica, Bong Joon-ho torna, per nostra grande fortuna, nella sfera del reale, con una dark-comedy che tutto riesce tranne che a farci ridere e che lui stesso definisce una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi.

I due lati della medaglia di questo conflitto di classe sono rappresentati da due famiglie agli antipodi.
Da una parte c’è la famiglia Kim che vive in un seminterrato con scarsa igiene, ruba la connessione wifi ai vicini e si mantiene svolgendo (male) lavoretti saltuari.
Dall’altra parte abbiamo i Park, una famiglia benestante che vive in una villa da sogno con tanto di governante, insegnanti privati ed autista.
Grazie ad una serie di piani ben escogitati, inganni e bugie, la famiglia Kim riesce ad insediarsi nella casa e nella vita dell’ingenua famiglia Park e a manipolarla secondo i propri bisogni.
Il piano dei Kim viene tuttavia meno e la trama del film prende una piega del tutto inaspettata.
Con una serie di sequenze grottesche e tragicomiche (basti pensare allo scontro fisico tra i Kim e la ex governante della casa, il tutto accompagnato da In ginocchio da te di Gianni Morandi), Bong Joon-ho introduce la parte drammatica del film, in cui non solo i Kim rischiano di essere smascherati, ma anche di incorrere in guai molto più gravi.

Il superare il limite, come dice spesso il signor Park, l’andare oltre alla linea di confine stabilita tra i ricchi e i poveri e il tentativo di uno di intrufolarsi nella parte dell’altro, conduce i protagonisti ad una inevitabile catastrofe.
Mentre in Snowpiercer, in cui il protagonista si ribella al suo status sociale e organizza una rivolta contro i ricchi oppressori, assistiamo ad un finale che, sebbene drammatico, ha un messaggio di speranza, nel finale di Parasite questa speranza viene a mancare.
Per quanto i Kim cerchino di mimetizzarsi nell’ambiente altoborghese dei Park, la puzza che li circonda, quella che il signor Park descrive alla moglie come il cattivo odore che si sente in metro, rivela la loro vera identità di scarafaggi, parassiti della società che vivono in seminterrati, si nutrono rubando cibo ed escono allo scoperto solo quando soli.

Come detto in precedenza, Bong Joon-ho fa uso di tutte le tecniche registiche in suo possesso per palesare la loro natura animalesca.
Vediamo più volte i personaggi camminare per le scale a quattro zampe, fissare il mondo esterno dalla finestra del loro seminterrato dove la gente si ferma spesso ad urinare, comparire spesso da luoghi oscuri e stretti con la camera che li segue sempre da dietro.
Insomma, la metafora è piuttosto evidente e il finale, che non sto qui a spoilerarvi, lascia intendere chiaramente il pensiero di Bong Joon-ho sull’intera faccenda.
Ma a rendere questo film forse il più riuscito di Bong Joon-ho non è solo l’eleganza e la ricercatezza narrativa con la quale mette in atto questa trama sociale, che, anzi, risulta alle volte un po’ macchinosa e forzata.
Bensì la cura e la raffinatezza delle immagini, la simmetria e l’ordine degli ambienti della famiglia Park in contrasto con il caos e l’irregolarità che circonda la famiglia Kim.
Si aggiungono al tutto le grandiose performance degli attori.
In particolare quella del signor Kim personificato dal famoso Song Kang-ho che già aveva lavorato con Bong Joon-ho in Memories of Murder, The Host e Snowpiercer.

 

Insomma, un film di grande qualità che, sebbene molto distante dalla dolcezza della famiglia giapponese di Un affare di Famiglia di Koreeda Hirokazu vincitore della Palma d’oro a Cannes l’anno precedente, riesce insieme a quest’ultimo a dimostrare ancora una volta la grandezza e l’originalità del cinema orientale contemporaneo.
Non ci resta che aspettare e vedere cosa ci riserverà ancora in futuro il talento di Bong Joon-ho.

Articolo a cura di Pamela De Santis