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Nope (2022)- L’oscenità dello spettacolo

Dopo i due folgoranti e controversi “horror sociali”, Get Out (2017) e Noi-Us (2019), Jordan Peele, ritorna dietro la mdp col divisivo e geniale Nope (2022).

Ebbene, parlare anche solo della trama di questo film, non sarà facile, perché è importante stare attenti a quel che si dice e a quel che si tralascia. A ciò che si spoilera soprattutto e a ciò che non si spiega, all’interpretazione dei fatti in un’opera totalmente a suo agio nelle strutturate architetture allegoriche. Recensire questa pellicola, vuol dire entrare nella sua genesi e nella sua esegesi. Quindi invito chi non ha ancora visto Nope, ma vuole curiosare sulla sua storia, di andare altrove.

Bene, ora che siamo solo noi, parliamo di cosa abbiamo appena visto.

Nope è, prima di ogni cosa, un’articolata e geniale riflessione sulla oscenità dello spettacolo.

In tutte le sue possibili declinazioni dalle politiche delle major hollywoodiane, alla gestione mediatica della pandemia Covid.

Ostentazioni e voyeurismo che si materializzano (si fa per dire) in un Ufo, lontano dall’immaginario sci-fi, eppure così tanto metacimetografico. Il nemico è un animale che divora tutti coloro che lo guardano. Tutti le anime sperdute, masticate e risputate dalla società, dallo show business, che hanno il coraggio o l’ossessione di guardarlo.

Chi ha fatto della spettacolarizzazione del dramma, per tornaconto personale, ora ne paga le conseguenze. Questo è il j’accuse di Peele.

Il suo obiettivo è intrattenere, ma anche costringere lo spettatore a porsi delle domande. Nel farlo, il regista punta in alto, sia nella struttura narrativa, sia nelle citazioni (Hitchcock , Spielberg, Shyamalan), ma soprattutto nel complesso, articolato impianto metaforico.

L’apocalisse che sia quella pandemica o un misterioso “bad miracle” nel deserto va comunque monetizzata con uno scatto alla Oprah.

A dircelo è proprio Peele nel suo incipit, una citazione biblica dal Libro di Naum, che contiene profezie sulla distruzione della capitale assira Ninive: “ti getterò addosso immondizie, ti umilierò e farò di te uno spettacolo”.

La disumanità della società mediale che indulge, specula e sfrutta il dolore. La morbosa ricerca dell’immagine che genera meraviglia, terrore e ammirazione a bocca aperta, guardando il cielo in uno dei topos preferiti da Spielberg, lo sguardo sbalordito all’insù, come una scarpa sospesa verso l’alto sul granguignolesco set di Gordy’s Home.

Lo scimpanzé è un animale selvatico che si comporta, al pari di ogni entità biologica, virus compresi, secondo la sua natura anche quando addomesticato e addestrato per l’intrattenimento e gli usi umani.

In Nope c’è tanto altro che una recensione non basta, ma è doveroso chiudere su un aspetto e un merito più strettamente cinematografico.

Peele infatti dimostra tanta abilità tecnica, ma anche una rara e ammirevole libertà creativa, quasi anarchica nello scavallare generi e tecniche rendendogli al contempo omaggio.

Non siamo affatto lontani dal capolavoro.