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Mustang – Il giardino delle vergini turche

L’estate è appena giunta alcune ragazze si svestono dei rigidi abiti scolastici e fanno il bagno con alcuni loro coetanei di sesso opposto. Niente di malizioso, solo l’adolescenza e la voglia di svagarsi. Il gesto però non passa inosservato e di bocca in bocca e di casa in casa, arriva fino ai tutori e alla famiglia delle cinque ragazze.

Da questo momento per loro inizierà una piccola ma asfissiante prigionia. Siamo in un remoto paese della Turchia. Lale, Nur, Sonay, Ece e Selma adolescenti e orfane sono affidate da anni alle “cure” bigotte e medioevali della nonna e dello zio. Ma le ragazze sono ribelli proprio come i Mustang, i selvaggi equini nordamericani. Difficile domarli. Per loro però sono già pronti i nomi dei futuri mariti, nella diffusa pratica dei matrimoni combinati.

Presentato al festival di Cannes nella sezione Quinzaine, “Mustang”, esordio nel lungometraggio della regista turca Deniz Gamze Erguven, ha rappresentato la Francia agli Oscar, al posto della Palma d’Oro “Dheepan”.

Strano che questa co produzione non sia stata rivendicata proprio dal nobile cinema turco che al suo posto gli ha preferito “Sivas” di Kaan Müjdeci. Per questa ragione e per l’indubbia fattura della pellicola della giovane Erguven, Mustang è stato più volte considerato dalla critica e dal pubblico come uno dei film più sottovalutati degli ultimi anni. In effetti la storia di queste cinque bellissime adolescenti turche è un film completo, capace di far applaudire tanto il barboso critico, quanto la casalinga di Voghera. Il messaggio del film è universale e culturalmente molto affine a dinamiche sociali già vista nei paesi occidentali fino a una cinquantina di anni fa.

Società patriarcali, spose bambine, fascismo familiare, violenza fisiche e psicologica su creature che per fortuna, almeno in questo film, riusciranno parzialmente a ribellarsi.

Deniz Gamze Erguven filma tutto con estrema delicatezza, concedendosi solo per inesperienza, sporadici momenti di piacioneria. Ma questo poco toglie ad una pellicola che se da una parte strizza l’occhio al cinema mediorientale, dall’altra parte si disseta alla fonte di film cult come Il giardino delle vergini suicide e ovviamente ancor prima (come aveva fatto la Coppola stessa) al capolavoro di Peter Weir Picnic at Hanging Rock.

In entrambi i casi troviamo la complessità di giovani adolescenti e delle loro delicate silhouette psicologiche. La purezza delle loro vesti bianche e l’immobilità davanti al padre padrone, tanto lontana dalla concezione religiosa primaria del “femminino sacro”.

C’è dunque tanta critica sociale ma anche un universo politico quasi impossibile da scalfire in un paese ancora alla mercé di un partito sovranista, conservatore e fortemente maschilista come l’AKP del “reggente” Recep Tayyip Erdoğan.