Il sud Italia, si sa, è una terra ricca di storia. Si naviga tra miti d’amore e creature maligne, tra oscure maledizioni e tradizioni più benevole. Luigi Scarpa, filmaker e regista campano residente a Milano, come tanti altri prima di lui – e come tanti altri dopo di lui – mette in scena una leggenda popolare propria del Cilento, legata, dunque, a un sapore folcloristico tutto mediterraneo.
Lo fa con un cortometraggio dall’evocativo titolo Malum Aeterni. E quale chiave migliore da utilizzare, se non l’horror?
L’horror che è proprio il punto di partenza, e di approdo, del cortometraggio d’esordio di Scarpa, e ne è anche il fine ultimo. Sì perché Malum Aeterni, breve, diretto, disimpegnato, sembra non avere, o mirare a una finalità sibillina o cerebrale. Un uomo in un’auto in un’ora notturna, lugubre stradine di campagna, una donna emaciata sul ciglio della strada.
D’altronde l’horror, o meglio il cinema tutto, sin dalle origini ha insegnato come il suo scopo fondamentale non fosse tanto narrare, strafare, quanto colpire, scioccare, utilizzare la strada dello stupore. E se da un lato si è alla ricerca, e si anela a qualcosa in più (il suggestivo inserto drammatico non basta), dall’altro non si può che premiare la strategia dell’immaginifico. Immaginifico realizzato con una pregevole confezione. Immaginifico tetro e semi-caliginoso, in cui ben rifulge la visionarietà (oltre)tombale tipica dell’Italia e dei suoi spettri (la figura femminea di matrice fulciana, momento clou del corto, ne è un chiaro esempio), riuscendo così anche a soprassedere all’eccessiva prevedibilità del plot twist.
”Ho sempre creduto nel potere delle immagini’‘, dice Scarpa: beh, un tocco, inno e inner self, quello del potere visivo, che proprio non gli manca.
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