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L’ufficiale e la spia: il perfetto congedo di Polański – La recensione

Vincitore del Gran Premio della giuria all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, esce nelle nostre sale questo thriller storico tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris. Roman Polański, a ben ottantasei anni, dice di volersi congedare con questo film.

Due ore stilisticamente e narrativamente perfette tra indagini, accuse, ingiustizie e un perfetto resoconto storico.

Jean Dujardin è il Colonnello Georges Picquart
L’affare Dreyfus è stato un celebre “caso” politico e sociale scoppiato in Francia sul finire del XIX secolo, che coinvolse il capitano alsaziano di origine ebraica Alfred Dreyfus. L’uomo venne ingiustamente accusato di tradimento e spionaggio a favore della Germania. Per oltre 10 anni il paese si divise tra i “dreyfusardi” e gli “antidreyfusardi”, ferventi sostenitori della sua colpevolezza. Tra i primi si distinse Émile Zola con il suo celebre “J’accuse” giornalistico.

La trama del film di Polański inizia nel gennaio del 1895 con Georges Picquart, un ufficiale dell’esercito francese, che presenzia alla pubblica condanna e all’umiliante degradazione inflitta al capitano alsaziano.

E’ evidente agli occhi dell’uomo l’antisemitismo imperversante nella società francese e il clima politico agitato a causa dello smacco dopo la perdita dell’Alsazia e della Lorena. Ma proprio quando il caso sembra archiviato e Dreyfus spedito in esilio, Picquart, che nel frattempo è stato promosso a capo della Sezione di statistica, si rende conto che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora fermato. Solo a quel punto al funzionario, sorge l’inquietante dubbio che il povero Dreyfus possa essere stato del tutto estraneo al piano ordito da militari del controspionaggio.

Il caso Dreyfus è già stato presentato al cinema nel 1937 con Emilio Zola di William Dieterle e con L’affare Dreyfus di José Ferrer nel 1957. E’ incredibile come una simile storia così avvincente e tremendamente contemporanea sia stata assente per così tanti decenni sul grande schermo. Curioso, e per niente casuale, il fatto che sia stato proprio Roman Polański a presentarlo viste le sue note vicende giudiziarie. In questa nuova trasposizione cinematografica di un altro romanzo di Harris, dopo l’altrettanto ottimo “L’uomo nell’ombra” del 2010, il regista polacco naturalizzato francese sembra particolarmente ispirato.

Quello di Polański è il film più bello dell’anno, senza se e senza ma.

“L’ufficiale e la spia”, in originale J’accuse, è un pezzo di storia raccontato in modo ineccepibile dove il ritmo è serrato e la tensione non ti molla un attimo. Niente è lasciato al caso. Ogni singola scena ed ogni inquadratura risultano essenziali per la struttura del film. Il tutto è bilanciato in maniera ineccepibile. Troviamo, inoltre, una grande cura nei dettagli, narrativi quanto scenografici che impreziosiscono la pellicola. Sicuramente il film più ambizioso del regista in quest’ultimo decennio.

Uno dei fotogrammi più belli di tutto il film
Polański è un maestro e lo dimostra ancora per l’ultima volta con una regia solida ed essenziale. La potenza figurativa della sua mise en scene, regala scene e fotogrammi che non si dimenticano tanto facilmente.

Ottimo il protagonista Jean Dujardin (Oscar nel 2012 per The Artist), il quale meriterebbe più ruoli del genere nel cinema di grande livello. Meritevole anche un irriconoscibile e misurato Louis Garrel, che quest’anno rivedremo anche nel remake di Piccole donne di Greta Gerwig. Impeccabili i comprimari come Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric. Come sempre notevole la colonna sonora di Alexandre Desplat, già due volte Premio Oscar per il film Grand Budapest Hotel e per La Forma dell’acqua.

Una delle tante scene indimenticabili
“L’ufficiale e la spia” è un film intimamente polańskiano e probabilmente lo splendido canto del cigno di un indiscutibile maestro.