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L’immensità della notte (The Vast of Night) – La Recensione

A Cayuga, città immaginaria del New Mexico, sta per iniziare la prima partita della squadra locale di basket. La mdp del regista e sceneggiatore esordiente Andrew Patterson vaga per il paese, tra i suoi abitanti in cerca di informazioni narrative. Siamo negli anni ’50, quelli di Ultimatum alla terra (1951) di Robert Wise, L’invasione degli Ultracorpi (1956) di Don Siegel, almeno tre decadi prima della rappresentazione aliena benevola fatta dai “close encounters” spielberghiani.

La giovane centralinista Fay (Sierra McCormick) e il suo amico DJ Everett (Jake Horowitz) che conduce un programma radiofonico amatoriale, intercettano un’inquietante suono non identificabile.

Decidono di condividere la misteriosa traccia audio durante la trasmissione di Everett nella speranza che qualcuno ne sappia qualcosa. Il primo a rispondere sarà l’ex-militare Billy e mentre il mistero si fa sempre più fitto, gli abitanti della piccola cittadina iniziano a segnalare inquietanti avvistamenti nel cielo del New Mexico.

Autorodotto con un budget di circa 700 mila dollari e girato in soli 17 giorni, The Vast of Night è stato presentato in anteprima allo Slamdance Film Festival, destando sin da subito l’interesse degli Amazon Studios, che ne hanno curato la distribuzione.

La pellicola, colta, citazionista, derivativa, non è un esordio timido, piuttosto un “pamphlet” sci-fi ambizioso nonostante la narrazione essenziale.

Patterson ha già un’idea di cinema molto ben definita. Sviluppa il film non tanto con le scarne informazioni della trama, ma con un’elegante mise en scène. L’autore si prende tutto lo spazio e il tempo per raccontarci la storia e crea con i movimenti della mdp (piani sequenza, campi lunghi e lunghissimi), e con i virtuosismi del sound design (mono/stereo), un dialogo alternativo e metaforico con lo spettatore.

Persino l’ambiente mediale a disposizione dei due protagonisti (la defunta private branch exchange di lei e le apparecchiature radioamatoriali di lui) sembrano ammiccare ad una tecnologia umana ancora troppo arretrata per comprendere i misteri dell’universo.

Però “questa è buona radio” continua a ripetere Everett e quello di Patterson è senza dubbio un buon cinema, anche (o forse soprattutto) quando sostituisce l’intrattenimento teen (tanto di moda in questi ultimi anni) con interminabili mute blackground.

Appunto the vast of night.