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Jungleland – La Recensione

 

L’America può essere una giungla per gli ultimi della catena alimentare, se non ti dai da fare e la vita di dona solo un talento, ossia quello di fare a pugni, allora devi colpire per primo e in modo che il tuo avversario non si rialzi più. Altrimenti sono guai.

Come per Chloé Zhao nel recente “Nomadland” il cinema americano si ritrova a riflettere, a definirsi e a prendere posizioni critiche sia sul sistema che sullo spirito della nazione per riscoprire la sua anima nomade, ma anche quella brutale della Jungleland.

Stanley (Charlie Hunnam) e “Lion” (Jack O’Connell), fratelli, sopravvivono con un umile lavoro di giorno e di notte partecipano a incontri di boxe tra i non professionisti. Il sogno è quello di sfondare, di farcela e cacciarsi dai guai e da un debito con un malavitoso locale.

Stanley ricorda molto il personaggio di Dicky Eklund interpretato da Christian Bale nel film The Fighter diretto quasi dieci anni prima da David O. Russell. Un uomo sofferente che guida il fratello con un lontano ricordo di gloria e un fio di opportunismo.

Lion (nome perfetto per sopravvivere in una giungla) è invece più sensibile, vulnerabile ma è lui quello che sale sul ring, quello di talento e il suo personaggio ambisce all’Alain Delon di Rocco e i suoi fratelli.

Ma soprattutto Jungleland attinge agli anni ’70 all’emarginazione e al degrado di Rocky o al lirismo di Città amara – Fat City di John Houston.

Le ambizioni ci stanno e ci sta un cast ad altissimi livelli Charlie Hunnam e Jack O’Connell ovviamente, ma anche Jessica Barden nel ruolo di Sky che si unisce ai due fratelli in un on the road direzione Reno dove ad attenderli c’è l’incontro della vita per il giovane Lion.

Il regista Max Winkler si avvicina e si allontana dai personaggi ma non li stressa e non li giudica, li guida bene nonostante l’autodistruttiva sceneggiatura che a tratti lascia di sasso lo spettatore in alcuni, francamente evitabili, scivoloni.

Qualche rammarico ma nel complesso Jungleland resta un’opera sincera e con una definità identità estetica. Una pellicola che ha il coraggio e le intenzioni, di non fermarsi al film sportivo ma di usare nel migliore dei modi lo sport come metafora sociale.