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Jojo Rabbit – La Recensione

Johannes Betzler detto Jojo è un bambino di dieci anni che vive solo con la madre Rosie, nella Germania nazista ormai prossima al collasso.

Jojo ha un amico immaginario, una versione infantile e caricaturale di Führer, frutto della sua ammirazione per il regime. In realtà Jojo, anche se fiero membro della gioventù hitleriana, è solo un ragazzino premuroso e pieno di immaginazione. Il suo universo imploderà alla scoperta che, nonostante le apparenze sua madre lavora per la Resistenza, e nasconde una giovane ragazza ebrea in soffitta.

Liberamente tratto dal romanzo del 2004 Il cielo in gabbia (Caging Skies) di Christine Leunens, Jojo Rabbit è una sorprendente e deliziosa black comedy.

Diretto dal regista neozelandese Taika Waititi, che si era già fatto notare grazie a Vita da vampiro, seguito dal blockbuster Thor: Ragnarok, Jojo Rabbit è destinato ad essere uno dei film rivelazione del 2019.

Sulla scia del nostrano La vita è bella, la pellicola affronta il dramma storico del nazionalsocialismo attraverso gli occhi innocenti di un ragazzino. Lo scopo ultimo è ovviamente quello di evidenziare l’insensata e demenziale natura dell’odio e della guerra. Ma dietro Jojo Rabbit si nasconde anche un doloroso e al contempo esilarante coming of age di un giovane uomo. Un piccolo “rabbit” costretto dagli eventi a prendere delle decisioni esiziali per lui e per le persone che ama.

Bravissimi tutti gli attori che nonostante il differente minutaggio a loro disposizione conferiscono al film una coinvolgente coralità. Oltre al piccolo esordiente Roman Griffin Davis, ammirevoli sono anche le performance dell’attrice neozelandese Thomasin McKenzie, l’esilarante Rebel Wilson, Stephen Merchant, Sam Rockwell e ovviamente Scarlett Johansson (il 2019 è senza dubbio il suo anno).

Stona purtroppo l’idea a monte di scegliere un cast anglofono per una pellicola ambientata in Germania. Fattore che toglie aderenza al film, aprendo una polemica già affrontata con la miniserie britannica Chernobyl.

Taika Waititi filma tutto con partecipazione emotiva, stemperata da un’estetica figurativa decisa e moderna. Una regia forse un po’ invasiva alla ricerca di una costante simmetrica che rimanda ai vezzi stilistici di Wes Anderson. Geniale l’uso della colonna sonora come la beatlesiana I Want To Hold Your Hand che diventa Komm Gib Mir Deine Hand ammiccando al celebre Deutscher Gruß (“saluto tedesco”) ma soprattutto il poetico finale bowieniano assolutamente da non spoilerare.

Forse è tutto un po’ furbo, forse suona tutto un po’ ruffiano, continuamente alla ricerca dell’emozione facile, però Jojo Rabbit non si dimentica facilmente ed è destinato a diventare un piccolo cult.

Una pellicola che fa ridere e fa piangere, emozionale e poetica, un’avventura per tutta la famiglia che entrerà nel cuore di molti.