Matt Damon torna a menare come un fabbro, e lo fa nei panni dell’agente smemorato Jason Bourne.
Per l’occasione torna all’ovile anche Paul Greengrass, dopo aver saltato insieme all’attore il capitolo ‘apocrifo’, ovvero il Legacy Jeremy Renner quando ancora sembrava potesse avere una carriera lanciata… ma questa è un’altra storia. La stessa storia è invece quella che vediamo in questo ultimo capitolo della saga, con una pesante quanto sostanziale differenza: ci interessa ancora la vicenda di Bourne?
L’impressione è che forse sia trascorso qualche anno di troppo, senza nulla togliere a Damon che è maturo, capace e assolutamente perno dell’intera pellicola, con un imprinting umano nelle gestualità, postura, espressioni di chi ne ha viste troppe per fermarsi. Il resto dei comprimari è invece a dir poco monodimensionale: la Vikander e Jones sono un contorno, quasi dei plot devices tra una scena e l’altra.
Un peccato, perchè le tematiche post-Snowden erano intriganti; ma alla fine della fiera Jason Bourne lo si vede per le scene d’azione.
Epici, lunghi e al cardiopalma, i due inseguimenti maestosi del film sono frenetici ma non ottimamente eseguiti: c’è un caos di fondo che esige più attenzione del dovuto per capire il tutto (e non stupisce che in 3D c’è chi ci sia rimasto male).
In definitiva, per gli amanti di Damon, più che della saga.