Il criminale Ugo Piazza, dopo 3 anni di prigione, viene rilasciato dal carcere di San Vittore, e viene subito “blindato” in auto da Rocco Musco, malavitoso a libro paga di un noto capo mafioso, chiamato “l’Americano”. Musco crede che Piazza abbia rubato 300 mila dollari al suo capo durante una spedizione di valuta clandestina. Piazza però nega l’accaduto…
“Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare!”. La frase urlata nel finale di “Milano calibro 9” da Rocco Musco/Mario Adorf è diventata un leitmotiv da battaglia per tutti gli amanti del cosiddetto “cinema di serie B” italiano. Il film del grande Fernando Di Leo uscì nel 1972, ma pochi in quegli anni si accorsero del capolavoro che avevano davanti. Altro che serie B. Eppure la critica parruccona dei tempi accolse “Milano calibro 9” con molta freddezza. Passarono tanti, troppi anni prima che venisse certificato il genio di Di Leo. Il film però, già da tempo, era apprezzatissimo all’estero.
Quentin Tarantino l’ha definito, in tempi più recenti, il miglior noir italiano di sempre. Ora la filmografia di Di Leo si studia all’università. Ma in passato i suoi film venivano considerati poco più di beceri e violenti poliziotteschi. Questo primo capitolo della famosa “Trilogia del Milieu” profuma di cult, di capolavoro, già dalla sequenza d’apertura (accompagnata dalle ottime musiche del Maestro Bacalov), splendida e feroce, che si conclude con una potente esplosione che ucciderà molte persone. E poi via, per le strade di una grigia e mesta Milano, ad inseguire i volti e le storie di incredibili attori che hanno fatto la storia del nostro cinema, chi più chi meno.
Mario Adorf, Frank Wolff, Luigi Pistilli, Philippe Leroy, Ivo Garrani…tutti clamorosamente in parte. Personaggi a tutto tondo, benissimo tratteggiati. E soprattutto il nostro protagonista, il compianto Gastone Moschin, ci regala un personaggio ormai diventato leggendario: Ugo Piazza. Un criminale milanese vecchio stampo, molto furbo e di poche parole. Lo sguardo quasi impassibile, marmoreo, ma foriero di quella inconfondibile scintilla, negli occhi, che ti fa capire che lui no, non è un criminale da strapazzo. Lui è intelligente, e ha un’anima. Ma non ha fatto i conti con la Grande Fiera delle apparenze e degli inganni, che gli firma un destino già scritto.
Tutti sono marci in “Milano calibro 9”, tutti mentono e arraffano. Ugo Piazza crede di essere il più furbo di tutti, ma sbaglia i conti. Anche se, nella Grande Fiera delle apparenze, nessuno esce indenne. Tutti pagano dazio. E in quella Milano plumbea degli Anni Settanta, tutti, davvero tutti, non possono durare tanto più della sigaretta che si spegne sul comò dell’ultimo fotogramma.
Le distrazioni sono poche per i personaggi dileiani destinati alla morte. Una di esse è Barbara Bouchet, col suo ballo irresistibilmente sexy (omaggiato in “Planet terror” di Robert Rodriguez). Ma anche lei, purtroppo per il granitico Ugo Piazza, fa parte dell’ingranaggio terribile della Grande Fiera. Nella Milano che fu (di Di Leo) non c’era verso: non se ne usciva vivi. Grazie Di Leo per averci donato questo capolavoro. E grazie a Gastone Moschin per averci donato uno dei personaggi più belli del poliziottesco italiano.