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Venezia 74: Suburbicon – La recensione

Sezione: Concorso


Suburbicon è una cittadina patinata, un’isola felice della Middle Class americana.
Villette con giardino, scuole ed asili pronti ad accogliere chiunque voglia trasferirsi.
Ma a patto che tu sia un bianco.

Lo scopre immediatamente la famiglia Meyers, che si ritrova nell’occhio del ciclone della protesta violenta e razzista della cittadina.
Accanto ai Meyers vive la famiglia Lodge, composta dal  serio e compassato Gardner (Matt Damon), dalla moglie Rose – costretta su una sedia a rotelle in seguito ad un incidente stradale – dalla sorella gemella Margaret (entrambe interpretate da Julianne Moore) e dal piccolo Nicky, figlio di Gardner e Rose.

Vita tranquilla a Suburbicon

Ma la signora Lodge, durante quella che sembra una rapina, viene uccisa da due poco di buono con una dose eccessiva di cloroformio.
E mentre la comunità si stringe intorno ai Lodge, senza risparmiare accuse ai nuovi arrivati neri, si scopre lentamente che anche in questo caso ciò che accade nella quieta cittadina di Suburbicon non è affatto quel che sembra.
Sceneggiatura firmata dai fratelli Cohen e regia di George Clooney, il film può contare su prove d’attore superbe di Damon e della Moore.
Eppure, nonostante le premesse, Suburbicon pecca paradossalmente di poca originalità.

Un grande Oscar Isaac

La storia, salvo pochi sprazzi (tra questi, la lunga e geniale scena finale), sembra non decollare mai.
Se non nell’escalation di violenza che tocca l’intera famiglia Lodge, fino a coinvolgere i due malviventi  rei dell’omicidio di Rose Gardner e persino l’assicuratore Roger (un bravissimo Oscar Isaac, parte originariamente pensata per lo stesso Clooney nella prima stesura di sceneggiatura).
E sebbene l’impronta dei Cohen sia fortissima, nel grottesco cinismo dei Lodge o nell’apparente perbenismo sotto cui striscia la vera anima violenta del sobborgo patinato, Suburbicon finisce purtroppo con l’arenarsi in una linearità che non crea mai tensione.

La “bionda” Julianne Moore

Benché abbia il pregio di restituire l’immagine di una società americana, così ancora radicata nella supremazia bianca da non renderla poi tanto diversa da quella mostrata nel film, a pezzi proprio come gli occhiali de protagonista, riattaccati maldestramente con lo scotch.

Provaci ancora, George.

Articolo a cura de: La Sposa