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IL CASO DELLA BELVA DEL PLENILUNIO di Andrea Maccarri

Una giovane giornalista e il suo cameraman si recano a casa di Massimo Granero per intervistarlo. L’intervista vuole far luce sul caso del padre di Granero, un assassino che negli anni 70 terrorizzò la cittadina di Tuscania, in Etruria. I due giornalisti scopriranno qualcosa di orribile…

Nel 2015 Andrea Maccarri dirige “Il caso della belva del plenilunio”, un cortometraggio di ben 26 minuti (quasi un mediometraggio, quindi) di genere thriller/horror, in perfetto stile mockumentary. Il bellissimo titolo di questa opera ricorda un certo cinema del passato che ormai non esiste più. In realtà Maccarri, a differenza del successivo “Mildville- the Lambert tapes” (trovate la recensione qui), dirige un cortometraggio moderno, figlio dei tempi, e non ancorato alla “cine-nostalgia”.

Affronta inoltre un tema, quello dei licantropi, poco bazzicato dai registi italiani. Il regista toscano, sempre attento alla qualità del cast, sceglie come protagonista un bravissimo Massimo Grazini, perfetto nella parte del figlio di un uomo accusato di licantropia ed omicidi vari. La quasi interezza del minutaggio di “Il caso della belva del plenilunio” è dedicata all’intervista dell’uomo. Un’intervista servita da dei buoni dialoghi, per nulla banali.

(qui il film completo!)

La sceneggiatura ci racconta di una famiglia (forse) vittima della superstizione e dell’ignoranza della gente, pronta a confondere la malattia mentale con una fantomatico caso di licantropia. Il finale, servito da effetti speciali molto naif (che ricordano i vecchi horror spagnoli di Paul Naschy), racconterà (forse) tutta un’altra storia.

“Il caso della belva del plenilunio” (diversamente da “Mildville – the Lambert tapes”) non riesce a creare la giusta tensione, soprattutto durante la lunga intervista al protagonista, che occupa quasi tutto il cortometraggio. Gli attori sono bravi e i dialoghi sono ben scritti, ma non fanno crescere l’ansia nello spettatore, e la noia purtroppo fa capolino più di una volta. Il finale poi, seppur foriero di un colpo di scena, è abbastanza “telefonato”. Un’opera sicuramente dignitosa e visionabile, ma nettamente inferiore a “Mildville – the Lambert tapes”.