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QUELLA SPORCA CINQUINA: FURY

Ayer è sempre garanzia di un solido action ( Training Day, End of watch, Sabotage), non sempre di un solido film ( SWAT ); questo Fury non è da meno, catapultandoci negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, in una Germania dove un Hitler con l’acqua alla gola non intende cedere tanto facilmente.

Fury è il nome di battaglia del tank americano abitato da Wardaddy, Bible, Gordo, Coon ass e per una piccola parte del corpo e del film da Red; sono veterani, combatenti smaliziati che hanno calciato via i nazisti da Africa, Francia, Belgio e ora sono nella Germania nemica.  A loro si aggiunge, a sostituzione del povero Red, un ragazzo totalmente vergine  sul campo bellico, che dovrà guadagnarsi il soprannome ‘Machine’.

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Nel tank come fosse la propria casa, sono tutti fratelli

In quella che sostanzialmente è una storia di formazione, in cui il vero protagonista della pellicola uscirà segnato dagli orrori della guerra, ma uomo per il coraggio e il cameratismo trasmessogli dalla squadra, non sono di grande interesse la trama, abbastanza prevedibile e che porta immancabilmente verso l’atto di coraggio estremo, quanto la caratterizzazione di personaggi e ambientazioni.

Nel secondo caso, il lavoro è davvero ottimo, con una fotografia costantemente virata sulle tonalità di sangue e melma che dipinge la Germania come un’unica, immensa palude dal sottobosco di cadaveri; quanto ai personaggi, la tank crew è abbastanza credibile, capitanata da un Pitt che se per estetica ed efferatezza ricorda il tarantiniano Aldo Raine, porta sulla pellcola un tormento interiore sconosciuto all’ammazza-nazi dei bastardi senza gloria; il cinismo e l’empatia prossima a zero verso il nuovo arrivato sono una ventata di freschezza rispetto il classico eroe ammerigano, che però si fermano a circa metà film, con uno switch in una delle scene più stranianti, paradossalmente lontano dai campi di guerra.

Fa il suo dovere il resto del cast, con una menzione d’onore a Shia Labeouf, che per la prima volta dopo anni 1) è credibile nella parte 2) non viene voglia di prenderlo a schiaffi.

Un buon lavoro per Ayer, che ha davvero fatto passi avanti a livello tecnico. La visuale dall’alto a fine pellicola vale da sola la visione.

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Il lavoro e la vecchiaia incombono, ma da quando ho memoria mi spacco di film di fantascienza, dove viaggio di testa fino a perdermi, e salto in piedi sul divano per dei tizi che si menano o sparano alla gente come fossero birilli. Addolorato dalla piaga del PG­13, non ho più i nervi per gli horror: quelli li lascio al collega, io sono il vostro uomo per scifi, azione e film di pistolotti metacinema/mental/cose di finali tripli.