I latini dicevano “Tempus edax rerum”, il tempo è il divoratore di tutto. Per questo film, Pietà di Kim Ki-duk, mi sento di parafrasare questo detto: “pecunia edax rerum”. Il denaro distrugge ogni cosa.
Il Kim Ki-duk degli anni ’10 è un uomo devastato, ben lontano da quell’artista-poeta cinematografico che si era mostrato in tutta la sua grandezza con “Primavera, Estate, Autunno, Inverno… e ancora Primavera” o con “Ferro 3 – La casa vuota”. Tra questo film e il successivo Moebius, il regista coreano mostra un lato che fino a pochi anni prima non ci si sarebbe mai aspettati. Estremamente riflessivo e poetico, come è sempre stato, ma, al tempo stesso, violento, crudele e crudo, questo nuovo corso della carriera di Kim Ki-duk ha la capacità di avvicinare gente che normalmente non vedrebbe mai un suo film, essendo adesso assimilabile, per certi aspetti, a registi come Park Chan-wook, soprattutto per quanto riguarda l’estetica della violenza (pur avendo i due registi stili molto diversi e personali).
Lee Gang-do è un uomo freddo e crudele che si occupa del recupero di denaro per conto di un aguzzino, i cui prestiti hanno un interesse mostruoso del 1000%. Però, Lee non sembra preoccuparsi del suo compito, poiché sfoga tutta la sua crudeltà torturando i poveri lavoratori la cui unica colpa è di non essere ricchi. Però, un giorno, fa la conoscenza di una donna che afferma di essere sua madre. All’inizio lui è decisamente restio a credere a quanto detto dalla donna ma poi si convince che stia dicendo la verità. Da questo momento, la vita di Gang-do non sarà più la stessa.
La bellezza di questo film non è assolutamente paragonabile a quella dei suoi capolavori del passato ma resta comunque un film molto forte e intenso. Un atto di disprezzo per il denaro e il sistema che ruota attorno ad esso. In un’intervista rilasciata a corriere.it in seguito alla sua vittoria del Leone d’oro del 2012, il regista dice: Questo mio film vuole mettere in discussione il processo che vede avidità denaro e successo distruggere la purezza, che instaura tra gli esseri umani solo relazioni basate sull’odio e porta il mondo contemporaneo, e anche me stesso, verso la distruzione. Una domanda ricorrente in questo film è “cos’è il denaro?” e la risposta che viene fornita dalla donna misteriosa è che esso sia la fine e l’inizio di ogni cosa. E, in effetti, non le si può dare torto: la vita dell’uomo moderno ruota attorno al dio Denaro, che domina ogni singolo aspetto dell’esistenza umana. Ed è spesso la causa di buona parte dei problemi che ci affliggono.
Come ci ha sempre abituato, le relazioni tra i protagonisti dei film di Kim Ki-duk sono spinte oltre il limite: ciò che il regista vuole mostrare è la caricatura di una realtà agghiacciante per farne risaltare tutte le fragilità. Pietà non fa eccezione. Quando Gang-do non vuole credere alla donna, le chiede più volte di mostrargli di dire la verità. All’inizio è solo una semplice domanda alla quale solo la vera madre potrebbe rispondere e si giunge fino allo stupro: ponendole una mano tra le gambe, le dice “Se sono uscito da qui, posso anche rientrarci. Fermami, se non sei mia madre”. Questo rapporto violento, contornato da epiteti che Gang-do attribuisce alla donna ben poco lusinghieri, a poco a poco si trasforma in un rapporto di dipendenza: l’uomo torna ad uno stato infantile e la sua vita diventa “mammacentrica”. Da essere distruttivo, punitore e sadico, diventa in qualche modo tenero e decisamente più umano. Proteggere la madre e recuperare quell’infanzia che, in quanto orfano, non ha mai potuto vivere diventa la sua nuova ragione di vita.
Per tutta la durata del film, a partire dal momento in cui la donna fa la sua comparsa, non possiamo che chiederci: perché è tornata? E’ solo un bisogno affettivo da madre? I minuti finali daranno risposta a questo quesito. Se volete conoscerla, avete due opzioni: andare a vedere il film oppure continuare nella lettura del prossimo paragrafo, che contiene, per forza di cose, degli SPOILER. Vi do qualche secondo per prendere una decisione. Avete scelto? Bene.
Paragrafo SPOILER
La donna non è veramente la madre di Gang-do. Ella è infatti la madre di un ragazzo che aveva un debito con l’aguzzino per cui l’uomo lavora e che è stato costretto sulla sedia a rotelle da Gang-do, che gli ha spezzato le gambe. Ed è proprio questo povero ragazzo quello che vediamo nella primissima scena del film, quello che si suicida. La donna, dunque, ha ordito un intricato piano per vendicarsi della morte del figlio. A mio avviso, il metodo utilizzato da lei per la vendetta è il più crudele possibile perché il suo obiettivo non è quello di uccidere Gang-do ma di distruggerlo, di frantumare la sua psiche, facendolo cadere in uno stato di disperazione totale, dopo essersi buttata da un palazzo, sfracellandosi al suolo poco accanto a lui. Ciò lo porterà a suicidarsi legandosi sotto la macchina della moglie di una delle vittime del torturatore, la quale aveva detto che, se ne avesse avuto la possibilità, lo avrebbe investito con la macchina: in qualche modo, Gang-do le ha fatto un regalo, una sorta di risarcimento.
Articolo a cura di Federico Querin