Chi è un assiduo frequentatore del web e, in particolare, di Youtube, avrà sicuramente colto la citazione a certi video di Marco Merrino, a.k.a. Croix89, e avrà dunque già compreso quale sarà il tono di questo articolo; per tutti coloro che non abbiano idea di chi sia Merrino (qui il link al suo canale Youtube, nel caso foste curiosi), vi lascio il piacere della scoperta. Cominciamo a parlare del film di oggi senza ulteriori indugi: La cura dal benessere di Gore Verbinski. La mia esperienza con il cinema di Verbinski non è mai stata particolarmente entusiasmante: a partire dal remake di The Ring, che mi lasciò particolarmente deluso ancor prima di aver visto l’originale di Hideo Nakata, fino ai tre capitoli della saga dei Pirati dei Caraibi, di cui non sono mai stato un gran fan, i film del regista di cui parliamo oggi mi hanno sempre lasciato dall’insoddisfatto all’indifferente, con tutte le sfumature che si trovano tra le due estremità. Per capire come mi son sentito guardando il suo ultimo film, La cura dal benessere, bisogna fare una crasi tra insoddisfatto ed indifferente, ovvero: insofferente. Insofferenza, irritazione, nervosismo sono tutte declinazioni dell’emozione che quest’opera ha suscitato in me. E non parlo dell’irritazione che potrebbe lasciarmi un film come American History X nei confronti del Derek Vinyard del passato (il neonazista meravigliosamente interpretato da Edward Norton) o come The Witch nei confronti dei genitori ultra-cristiani. L’irritazione di cui sto parlando per La cura del benessere è di quel tipo che potrebbe farti finire in galera se ti capitasse di avere tra le mani un’arma di qualsiasi tipo, fosse anche solo il bastoncino di un ghiacciolo.
La trama è il motivo principale di questa insofferenza, poiché si tratta di una brutta copia di Shutter Island di Scorsese (che, sebbene non fosse di certo un capolavoro, era senza alcun dubbio un ottimo film), del figlio mal riuscito che i genitori nascondono in cantina per la vergogna. Un impiegato giovane e di successo, Lockhart (Dane DeHaan), viene mandato in Svizzera per recuperare il CEO dell’azienda per cui lavora, ricoverato in una villa dove vengono eseguite terapie basate sull’acqua (bevendola, facendo acqua gym, ecc). Una volta giunto qui, Lockhart entra in contatto con un mistero e si ritrova costretto al ricovero a causa di un incidente automobilistico. La storia si sviluppa attraverso inutili e noiosissime ripetizioni degli eventi: vediamo DeHaan che si alza dal letto e va in esplorazione; viene beccato e torna in camera dopo aver scoperto qualcosa; si rialza dal letto e torna in esplorazione; viene beccato e torna in camera dopo aver scoperto qualcos’altro; si rialza dal letto e torna in esplorazione; viene beccato e torna in camera dopo aver scoperto qualcos’altro; si rialza dal letto e torna in esplorazione; viene beccato e torna in camera dopo aver scoperto qualcos’altro; si rialza dal letto e torna in esplorazione; viene beccato e torna in camera dopo aver scoperto qualcos’altro; si rialza dal letto e torna in esplorazione; viene beccato e torna in camera dopo aver scoperto qualcos’altro. Non credo ci sia bisogno di continuare, giusto?
La scrittura del film, il cui soggetto è stato curato dallo stesso Verbinski, mentre la sceneggiatura è di Justin Haythe, è pessima, uno dei punti più bassi che mi sia mai capitato di vedere nel corso della mia “carriera” da cinefilo (e sto considerando anche film come Fuga da Reuma Park, Il cosmo sul comò ed immondizia simile, giusto per essere chiari). Dettagli inutili aggiunti solo per dare una debole sembianza di profondità, personaggi pessimi senza una vera personalità, semplici macchiette che si muovono dinnanzi alla macchina da presa; i colpi di scena sono tra i più telefonati possibile, sono facilmente comprensibili non appena una nuova pagina viene aggiunta al mistero (un po’ come se, leggendo un libro, alla prima riga di un capitolo fondamentale ai fini della storia, capiste già cosa accadrà nell’ultimo paragrafo di tale capitolo). Tuttavia, non è tutta immondizia ciò che puzza e La cura dal benessere ha qualche punto di forza. In primis, la fotografia e le scenografie sono veramente ottime e spesso vediamo splendidi scorci delle Alpi svizzere, architetture meravigliose fotografate alla perfezione; anche la regia raggiunge vette di spettacolarità davvero rare, con movimenti di macchina audaci ed intelligenti. L’aspetto tecnico del film è, dunque, veramente valido, così come convincenti sono le interpretazioni degli attori, in particolare quella di Mia Goth (che abbiamo conosciuto in Nymphomaniac di Lars Von Trier, nel quale interpretava P), il cui personaggio, che si muove su un sottile filo tra donna e bambina, viene reso alla perfezione dallo sguardo dell’attrice, uno sguardo tenero e sognante che si accompagna ad un bellissimo sorriso, incorniciato dalla bellezza assai particolare della Goth.
Però, un ottimo aspetto tecnico (unico argomento di chi difende questa pellicola) non può assolutamente rendere La cura dal benessere un bel film, poiché quell’ottima regia, fotografia ecc è solo fumo negli occhi per poter distrarre lo spettatore e non fargli notare la tragica ridicolaggine che caratterizza la scrittura della sceneggiatura, la quale raggiunge il suo apice di “cringe” (termine assai di moda tra il popolo internettiano) nel finale che può essere efficacemente descritto solo grazie ad aggettivi come “idiota” et similia. Purtroppo, per evitare di fare spoiler, non posso approfondire il finale ma, se non avete ancora visto il film, sappiate che è la cosa più stupida accaduta in un film del terzo millennio.
Il film, comunque, gode di alcuni momenti che sanno creare suspance e mettere un po’ di ansia nello spettatore. Tuttavia, questi momenti non riescono a risollevare la pellicola da quella fossa di fango in cui la sceneggiatura l’ha fatta cadere, poiché sono circondati da momenti assolutamente inutili e noiosi, che paiono esser stati inseriti nella trama solo per annacquare il brodo. La stessa storia avrebbe potuto esser raccontata in un mediometraggio o, al massimo, in un lungometraggio di 80 minuti, mentre La cura dal benessere ne dura oltre 140 (CENTOQUARANTA). Oltre due ore e venti di nulla cosmico, di momenti ripetuti fino all’esasperazione che culminano, lo ripetiamo, in un finale ridicolo, stupido, bambinesco, banale e chi più ne ha più ne metta. Il flop commerciale nel quale questo film è risultato è assolutamente meritato (basti pensare che in America la pellicola è stata ritirata da oltre 2000 sale nel giro di pochissimo tempo) e dimostra alla perfezione che non bastano una buona regia, una buona fotografia e delle buone interpretazioni per fare di un film un film buono; forse gli incassi ridicoli, rispetto al budget, sono lo specchio del risveglio del senso critico nel pubblico di massa. Voglio crederci, voglio sperarci. Per quanto mi riguarda, tra quelli che ho visto, La cura dal benessere è il peggior film del 2017 insieme a Valerian e la città dei mille pianeti, con un’aggravante in più: mentre il film di Luc Besson era molto leggero nei toni, quello di Verbinski si prende tremendamente sul serio, rendendosi, così, ridicolo. Quindi, forse, questo è pure peggio di Valerian.