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Confessions – di Tetsuya Nakashima (2010)

“Confessions”, film del regista giapponese Tetsuya Nakashima è il miglior film degli anni passati che ho visto in questi primi mesi del 2015.
Quella che è considerata l’opera più matura del regista giapponese dopo pellicole pop come “Jamikaze Girls” (del 2004, uscito anche in Italia), “Memories of Matsuko” (2006) e “Paco and the magical book” (2008) vede come protagonista la giovane insegnante Yuko Moriguchi, che ha appena perso la sua piccola figlia Manami a causa di un incidente capitato proprio nella piscina della scuola dove insegna. La donna però sa che la sua povera Manami è stata uccisa da due studenti della sua classe, quelli che lei inizialmente chiama lo “Studente A” e lo “Studente B”.
Prima di lasciare la sua classe ed abbandonare l’insegnamento però, da ai suoi studenti, compresi gli assassini della figlia, un’ultima importantissima lezione sul vero valore della vita umana. Da quel discorso, l’escalation che ne segue segnerà per sempre le vite di Yuko, di alcuni suoi studenti, e soprattutto dei due giovani assassini.

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La professoressa Yuko

Il film sin dall’ inizio si presenta molto bene e parte subito in maniera magistrale. Siamo all’interno di una classe, in cui vige un’anarchia non totalmente dichiarata ma comunque visibile, ragazzini delle scuole medie, che alternano l’ascolto della loro professoressa, la Moriguchi appunto, ai cavoli loro. L’insegnante introduce loro un discorso sul senso della vita e sull’importanza di essa, ma non viene ascoltata, se non in qualche piccolossimo frangente. E senza avvisaglia alcuna, dopo qualche minuto in cui si alternano immagini a velocità reale e in slow motion, arriva la frase finale della signorina Moriguchi : “mia figlia è stata uccisa e i suoi assassini sono in questa classe”.
Sia i giovani studenti che noi spettatori rimaniamo gelati di fronte a questo. Ed allora la nostra e la loro attenzione subito si focalizza su questo evento, su questo fatto, e da li in poi, la storia continua in maniera magistrale.
Il regista Nakashima compie un capolavoro sia nel proseguire il racconto, fatto di continui flash back, che ci fanno conoscere meglio sia l’intento che sta dietro al discorso della signorina Moruiguchi fatto alla sua classe, sia le vite e le personalità dei due presunti assassini e di chi gravita loro intorno, svelandoci molti segreti, più o meno oscuri, e svelandoci ogni cosa a tempo debito e nei modi giusti.
Giovani al centro della storia, giovani studenti che non hanno un solido background familiare dietro le loro spalle, che vengono completamente risucchiati dagli usi e costumi del mondo occidentale, che vogliono farsi notare senza sapere bene cosa vogliono dalla vita, smarrimento che poi li porta a compiere gesti gravi che potrebbero essere evitati dando loro una sicurezza o un aiuto in più prima che sia troppo tardi.

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Una classe un po’ movimentata

Il tema della vendetta di una giovane madre , vendetta non convenzionale e assolutamente non scontata nelle modalità (altro motivo di forte interesse per la visione del film), si scontra appunto con questo giovane mondo che ha smarrito la retta via, che non ha un leader o una figura da seguire, né all’ interno del nucleo familiare, né all’ interno delle istituzioni, scolastiche e non (vedi il sostituto della professoressa Morighuci, l’inutile Yoshiteru Terada che invece di migliorare la situazione della classe la porterà solo a peggiorare.
La storia riprende molto fedelmente gli eventi narrati nel libro da cui il film è tratto (le differenze sono su punti non cruciali), e le tecniche usate dal regista Nakashima sono ottime, dal primo all’ultimo minuto. Tutto è costruito su una continua alternanza di eventi del tempo presente e flashback con cui conosciamo meglio fatti e protagonisti, molte volte si ricorre alla tecnica dello slow motion, i colori sono freddi e ci fanno capire dietro quell’aria goliardica e di entusiasmo generale che c’è tra  i giovani studenti che qualcosa di torbido e malsano sta sempre più venendo a galla.
Il discorso iniziale della professoressa Moriguchi è da “Oscar subito”, sia nelle inquadrature, sia nei dialoghi.
Il regista infatti si affida a dei dialoghi semplici, ma non banali, proprio per rimanere in linea d’onda don il linguaggio dei giovani studenti. Per tutta la durata del film inoltre si fa un forte uso della voce fuori campo, che non appartiene ad un solo personaggio ma a quelli più immischiati nel tragico evento della morte di Manami.
Le musiche sono ottime ed in linea con gli eventi ed i personaggi della pellicola ( si spazia da Bach ai Radiohead, e non c’è forzatura) e con i loro stati d’animo, con lo stato d’animo della storia intera : uno stato d’animo che va dalla solitudine, alla mancanza di affetto e di attenzioni, dallo smarrimento giovanile alla vendetta di una madre.
Nakashima ci mostra tutto questo impedendoci di poter provare empatia per ciascuno dei personaggi principali almeno fino alla fine del film, perchè ognuno di loro ha le sue motivazioni, ma anche i suoi scheletri nell’ armadio, e quindi risulta difficile schierarsi per lo spettatore, difficile e non scontato una volta che si sceglie da che parte stare.

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Studenti molto particolari

Il messaggio finale del regista non è dei più positivi ; le nuove generazioni non si sono ancora formate, non sono ancora pronte per vivere una vita matura, non si sono fatte ancora le ossa, e vagano alienate in un limbo fatto solo di divertimenti, falsi idoli e miti, senza avere un vero obiettivo davanti a sé.
Il film era stato scelto dal Giappone come pellicola da proporre agli Oscar 2011 come miglior film straniero, senza però arrivare nella cinquina finale, dove figuravano però mostri sacri come Iñárritu con “Biutiful”, “In un mondo migliore” di Susanne Bier, che vinse l’Oscar, ed uno dei capolavori del cinema greco contemporaneo, quel “Kynodontas” che tratta di tematiche che possono in un certo senso strizzare l’occhio al film di Nakashima.

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Capo Redattore e Co-fondatore

Grande amante del cinema, e questo è scontato dirlo se sono qua :­) Appassionato da sempre del genere horror, di nicchia e non, e di film di vario genere con poca distribuzione, che molto spesso al contrario dei grandi blockbuster meriterebbero molto più spazio e considerazione; tutto ciò che proviene dalle multisale, nelle mie recensioni scordatevelo pure. Ma se amate quelle pellicole, italiane e non, che ogni anno riempono i festival di Berlino, Cannes, Venezia, Toronto, e dei festival minori, allora siete capitati nel posto giusto.

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