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Boy Erased – Vite cancellate – La Recensione

Negli States li chiamano PK, ossia Preacher’s kid, riferendosi ai figli degli uomini di Chiesa come pastori, preti, vicari, lay leader e simili guide spirituali nelle sperdute comunità rurali degli Stati Uniti d’America. La ribelle Ariel di Footloose ad esempio.

Il giovane Jared, è appunto un PK, figlio di un pastore battista in una piccola cittadina dell’Arkansas, costretto fare coming out. I suoi genitori da buoni timorati di Dio, decidono di spedirlo in un centro di riabilitazione eteronormativo dal nome “Love in Action”.

Qui Viktor Sykes, sedicente terapeuta, con metodi psicologicamente barbari e retrogradi, cerca di “curarlo” dalla presunta malattia. Mentre questo discutibile “rehab” si consuma ai danni di Jared e degli altri adolescenti ospiti della struttura, il film ripercorre con alcuni flashback gli ultimi mesi della vita del ragazzo. I suoi dubbi e le sue paure diventano sempre più soffocanti. Jared sa di essere attratto dai suoi compagni del college e non dalla fidanzatina tanto cara ai suoi genitori. Questo fino al giorno in cui il ragazzo non decide di alzare la testa.

Adattamento del libro autobiografico di Garrard Conley del 2016, scrittore e attivista LGBT, Boy Erased è un pamphlet progressista che denuncia l’esistenza di questi autoproclamatisi istituti di rieducazione sessuale.

La pellicola porta la firma di Joel Edgerton eccellente attore noto per un paio di Star Wars e per essere stato il fratello lottatore MMA di Tom Hardy in Warrior. Il regista alla seconda prova, tre anni dopo Regali da uno sconosciuto – The Gift, mette in scena una pellicola solida e composta. Il film è sempre sul pezzo nel condannare senza mezzi termini le tristemente note teorie sulla “conversione” dell’orientamento sessuale.

La pellicola s’inserisce nel filone aperto da Desiree Akhavan con La diseducazione di Cameron Post e da Felix Van Groeningen con il meraviglioso Beautiful Boy e si torna dunque a parlare delle responsabilità dei genitori e delle conflittualità con i figli. L’America di oggi è ancora troppo preoccupata dei suoi nemici invisibili per curarsi di altrettanti ectoplasmatici problemi sociali. Conflittualità che non esistono o non esisterebbero se non fosse per mentalità ottusa e paura del “diversamente felice”. L’America di oggi è anche quella che ha alla Casa Bianca un vicepresidente che per anni ha finanziato e promosso questi discutibili centri di rieducazione.

Edgerton si avvale di un cast di prim’ordine. Su tutti spicca un irriconoscibile Russell Crowe sempre meno Massimo Decimo Meridio e sempre più Giuliano Ferrara (s’ironizza più sul pensiero conservatore che sulla ciccia di troppo). Russell è meraviglioso nel calarsi in una parte scomoda e lontana dalle sue corde. Quindi Nicole Kidman brava anche se penalizzata da una parabola del personaggio un po’ forzata. Il giovane Jared ha invece il volto di Lucas Hedges, figlio di Peter Hedges, sceneggiatore di Buon compleanno Mr. Grape e Schegge di April.

Sorprendono infine le interpretazioni dei comprimari. Tra tutti il talentuoso regista Xavier Dolan nella parte del tormentato Jon. Flea, celebre bassista dei Red Hot Chili Peppers nella parte dell’inquietante Brandon. Infine Troye Sivan, cantante e youtuber australiano (come d’altronde buona parte del cast). Il “teen idol” offre anche un altro importante contributo alla pellicola con la canzone Revelation, colonna portante del film firmata di Jónsi Birgisson dei Sigur Rós e dallo stesso Troye.

Va segnalato inoltre il confronto finale tra padre e figlio. Russell a capo di una concessionaria della Ford (uno dei simboli per eccellenza del capitalismo americano) e il figlio. Un duello fordiano (un altro Ford, quello di Ombre Rosse e Sentieri Selvaggi) che non glissa l’happy ending, evitando gigionamenti buonisti.

Dunque tante cose belle e una causa nobile per un film a tratti registicamente pavido, ma toccante e mai compiaciuto. Da vedere con le orecchie e da ascoltare col cuore.