You were never really here è stato rinominato A beautiful day nel nostro mercato; eppure il titolo originale, oltre a essere l’omonimo titolo della novel di cui il film risulta un adattamento, rende appieno l’essere del protagonista Joe.
Joe è guasto. E’ un essere spezzato da troppo dolore, violenza che ha vissuto in quanto ex-agente federale e veterano.
Questo concetto è espresso magistralmente da volto e postura di Phoenix e dalla regia di Lynne Ramsay.
Con buona pace dei titoli più commerciali, in cui ogni concetto è spiegato ed esaustivo, in A beautiful day il passato di Joe è affidato a sprazzi, a schegge di flash back.
Sono questi momenti, insieme al presente disagiato, che spesso palesa un desiderio di morte di Joe, a restituirci il quadro di un uomo che ha visto, vissuto troppo.
Un anti-eroe, Joe sfrutta le proprie capacità per salvare ragazzine finite nel racket della prostituzione minorile: nel farlo, il film ci regala delle esplosioni di violenza a tratti inaspettata; pochi secondi, e abbiamo Joe che canticchia con la madre.
Presto Joe si troverà nei guai per aver salvato l’ennesima ragazza; impossibile non pensare a Taxi driver in questa dinamica di coppia. Ma ci troviamo davanti a una pellicola ben diversa, nervosa, che si divora d’un fiato (come la novel, del resto), lasciandoci qualcosa dentro dopo i titoli di coda.