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Lars Von Trier: la Monografia pt. 3

Il nostro viaggio nel mondo di Von Trier continua con due imperdibili film della Trilogia USA - Terra delle opportunità.

Eccoci a un nuovo appuntamento sul tanto amato quanto criticato Lars Von Trier. Quest’oggi parleremo di una trilogia ancora in fase di completamento: USA – Terra delle opportunità. Wasington – questo il titolo dell’ancora incompiuto terzo capitolo – si fa infatti attendere dal lontano 2007.

Con impazienza aspettiamo anche l’ultimo film del regista, The House That Jack Built, che verrà presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2018. Nel frattempo perché non recuperare alcuni dei suoi più acuti lavori? Iniziamo da un film innovativo e pungente, una critica agli Stati Uniti dell’opportunismo, più che dell’opportunità come recita il sottotitolo della trilogia.

Dogville – USA – Terra delle opportunità – 2003

«Credo solo che questo paese abbia dimenticato tante cose…». Dogville rappresenta l’America che si è scordata di molti valori. Dominano invece l’ipocrisia, la vanità, l’orgoglio, la lussuria, lo sfruttamento e l’omertà. Primo film della trilogia USA – Terra delle opportunità, è uno dei più interessanti lavori di Von Trier.

Nicole Kidman interpreta Grace, la protagonista di Dogville
Che tipo di cittadina è Dogville? 

Grace (una Nicole Kidman in stato di grazia) è una bellissima ragazza che, nel fuggire dal padre, un pericoloso e potente gangster, raggiunge la piccola cittadina di Dogville e la rivoluziona con i suoi ideali. Gli abitanti del paesino dovranno infatti superare molti propri limiti per non denunciare la ragazza, nei confronti della quale la polizia ha emanato un ordine d’arresto.

Per farsi accettare, Grace propone il proprio aiuto a tutti e quindici gli abitanti ma nessuno sembra aver bisogno di lei perché sono tutti autosufficienti. In fin dei conti, hanno sempre vissuto bene così. Perché mai dovrebbero cambiare qualcosa nella propria routine? Ma a poco a poco, anche grazie all’aiuto di Tom, filosofo, predicatore e scrittore del paese, i servizi di Grace vengono considerati sempre più utili, tanto da arrivare allo sfruttamento anche fisico e alla dipendenza.

Tanti sono i difetti dei cittadini di Dogville, ma il vero errore è quello di essere “tanto umani” da avere paura. Anche Tom, che fin da subito ha aiutato Grace e che ne è innamorato, ha ceduto al timore e ha pensato di denunciarla.

L’ambientazione di Dogville

Dogville è una città chiusa, da cui nessuno è mai andato via e in cui nessuno di nuovo arriva; Dogville rappresenta la fine di tutto il mondo civilizzato perché le sue strade non portano ad altri paesi ma solo a impervie montagne; a Dogville tutti sanno di tutti e chiunque vede cosa succede nelle case altrui, eppure nessuno dice nulla.

Significativo, a questo proposito, che l’ambientazione rievochi più una pièce teatrale che un film vero e proprio: molte riprese avvengono dall’alto e inquadrano le abitazioni dei cittadini di Dogville, le quali sono tutte senza muri e con porte immaginarie che non si vedono ma di cui si odono i rumori quando vengono aperte o chiuse. Allo stesso modo anche Mosè, il cane che è sospettoso con gli estranei, si sente abbaiare per tutto il film ma non compare mai, se non nell’ultimissima scena.

Mosè, Grace (la grazia, definita come «il bene dell’essere umano») e la sua volontà di perdonare gli abitanti di Dogville, Tom col suo messaggio per i concittadini, i loro peccati e il bisogno di purificazione, il potere detenuto dal padre di Grace, il finale apocalittico col suo “miracolo” (la sopravvivenza del cane): tutti elementi che hanno fatto leggere la trama in chiave pseudo-religiosa, una sorta di messaggio evangelico di redenzione di cui l’America di oggi sembra aver bisogno.

Le caratteristiche tecniche di Dogville

Chiavi di lettura a parte, Dogville rappresenta un prodotto strabiliante: realizzato tutto con la macchina a mano in studio, offre sensazioni uniche allo spettatore. L’ambientazione similteatrale rende questo lavoro uno dei più innovativi di Von Trier: la scenografia è quasi del tutto assente e le luci, che qui giocano un ruolo fondamentale, sono realizzate in modo sapiente e studiato.

I costumi sono anch’essi stati attentamente presi in considerazione: i vestiti lussuosi e dalla foggia sfarzosa che Grace indossa all’inizio e alla fine contrastano con la povertà degli abitanti di Dogville, che sono e rimangono delle persone chiuse nelle proprie idee. «Se c’è una città senza la quale il mondo starebbe meglio… sarebbe questa qui», è la fortissima denuncia del regista. Un’accusa rivolta agli Stati Uniti di oggi, ma che resta valida per tutti i Paesi in cui la convinzione di non aver bisogno di migliorare sia superiore a qualsiasi altra logica.

Che questo discorso possa valere anche per le singole persone?

Manderlay – USA – Terra delle opportunità –2005

Siamo negli anni Trenta. Da settant’anni la Guerra di secessione ha dunque posto fine alla schiavitù in America. La protagonista di Dogville, Grace (questa volta interpretata da Bryce Dallas Howard), fugge col padre verso il sud degli Stati Uniti e nel corso del suo viaggio capita dalle parti di Manderlay, una cittadina dell’Alabama. Qui, l’amara scoperta: la schiavitù ancora esiste ed è terribilmente attuale.

Grace (Bryce Dallas Howard) e i tentativi di democrazia a Manderlay
Che cosa succede a Manderlay? 

Mentre Grace si trova nei pressi di una piantagione di cotone in cui ancora è in vigore lo sfruttamento delle persone di colore, Mam, padrona della tenuta, muore. A questo punto i suoi schiavi sono allo sbando e per aiutarli la giovane decide di rimanere. Primo obiettivo: costituire una democrazia per rendere davvero liberi uomini e donne della servitù. Ma liberi, loro, non lo sono mai stati. E nessun tentativo di Grace sarà in grado di dare un senso alla loro esistenza.

Mam aveva infatti creato un sistema che inquadrava ciascun nero in una particolare tipologia: al di fuori di questo ristretto schema, nessuno di loro era in grado di formarsi una propria personalità e prendere decisioni. In altre parole: nessun libero arbitrio. Solo obbedienza e oppressione.

Le interpretazioni su Manderlay 

Il seguito di Dogville ripercorre la critica spietata del primo episodio, ma con una diversa declinazione del punto di vista: oltre al perbenismo della società americana e alla palese riflessione sulla schiavitù (cruccio storico degli Stati Uniti), nuovi e interessanti sono i temi che Manderlay mette in gioco. Fino a che punto è possibile essere liberi in assenza di norme da rispettare? Non sono forse proprio le leggi che garantiscono la libertà di ciascuno? E ancora: quanto la democrazia è considerabile “giusta” se può costringere a compiere atti palesemente ingiusti, quali l’uccisione di una donna della comunità stessa? Non solo.

Una scena tratta da Manderlay

Questo film rappresenta anche i sistemi socio-politici che, trasportati in contesti diversi da quelli in cui sono nati, si rivelano fallimentari: sono irrealizzabili, ci sta suggerendo von Trier, i progetti statunitensi di imporre con la forza delle armi la democrazia nei paesi arabi. Come se questo tipo di governo, nato e sviluppato in contesti occidentali, fosse in grado di fiorire in un diverso territorio.

Tant’è che, a ben vedere, il sistema di schiavitù, per quanto basato sulla sopraffazione, era comunque un modo per garantire pace e sicurezza all’interno della comunità. Messo fine a questa struttura, nessuno è capace di sopravvivere di fronte a un mondo esterno crudele, che non è di certo disposto ad aiutare i più bisognosi. Almeno da mangiare c’era, con Mam. E ora? E ora, dal momento che non si è più obbligati, nessuno pensa alle piantagioni che un tempo garantivano la sopravvivenza anche (e soprattutto) degli ex-schiavi.

Una visione cupa e disincantata, che non lascia speranze per una visione positiva della realtà. Manderlay è un film a tesi costituito da domande e risposte a cui ognuno può sentirsi chiamato. L’importante è non smettere di interrogarsi. Soprattutto davanti a un film di Lars Von Trier.

JAMovie non si lascia sfuggire niente e ha scritto anche della Trilogia Europea e della Trilogia del Cuore d’Oro: mentre aspetti il prossimo articolo, clicca sui nomi delle trilogie per scoprirne di più.

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Quando avevo sei anni e la maestra mi fece la classica domanda: "E tu, da grande, cosa vuoi fare?", la mia risposta fu, con tutto l'entusiasmo che avevo in me, "cinema, ovviamente!". Due minuti dopo scoprii, con mia grande delusione, che "cinema" non veniva considerato dagli adulti qualcosa che io potessi fare. E nemmeno un hobby troppo serio, a dirla tutta. Proprio per dimostrare il contrario (o forse per confortare la tesi della non serietà?) oggi sono qui, a scrivere per JAMovie. Che film prediligo? Non disdegno nulla, ma in particolare sono quella che scrive di film sconosciuti a tutti, a volte persino ai registi stessi, che pensavano di aver girato una pubblicità di biscotti e invece io ritrovo nel loro lavoro una riflessione sull'unità familiare nel meraviglioso momento del risveglio del XXI secolo. Le pubblicità, però, le lascio volentieri a qualcun altro. Qui mi occupo di film outsider, recensioni e approfondimenti. Tutti per voi!