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West Side Story, il sogno di Spielberg diventa meravigliosa realtà – La recensione

Tony e Maria si innamorano a prima vista mentre sono a un ballo. Peccato che facciano parte di due bande rivali, gli Sharks e i Jets.

Il grande regista Steven Spielberg ci ha fatto un grande regalo di Natale e si chiama West Side Story, nuova trasposizione cinematografica del musical teatrale – uno dei più belli mai scritti – del 1957 portato precedentemente sul grande schermo nel 1961 con ben dieci Oscar vinti. Che il cineasta americano desiderasse da sempre dirigere un musical si era già notato nel lontano 1984 con l’apertura di Indiana Jones e il Tempio Maledetto in cui Kate Capshaw canta Anything Goes. In West Side Story è come se il cerchio si chiudesse visto che ha un’apertura come un film d’avventura.

La sua regia è così appassionata, ispirata, dinamica, emozionante che ti cattura sin da subito regalando violenza, grazia, disperazione, odio e amore con una disinvoltura invidiabile.
Jets vs. Sharks

Una commovente storia di razzismo, integrazione, accettazione che appartiene – purtroppo – ancora al giorno di oggi anche se è stata scritta ben sessantacinque anni fa. La sceneggiatura di questo capolavoro contemporaneo spielberghiano è scritta, meravigliosamente, nientepopodimeno dal drammaturgo Tony Kushner, uno dei più grandi del giorno d’oggi, che scrisse lo spettacolo Angels in America e le sceneggiature di Lincoln e Munich sempre per il grande Steven.

Anche se uscito al giorno d’oggi sembra di vedere un grande musical dell’epoca d’oro di Hollywood, un kolossal drammatico e romantico che ti fa stare col cuore in gola. Spielberg, come il più  grande di maghi, riesce con la camera a dare vita a tutto quello che mostra, sottogonna compresi. Non lascia niente al caso e non sottovaluta nulla: insegue, accompagna, spia gli interpreti tra primi piani, meravigliosi controluce e carrellate scegliendo spesso spazi ampi e aperti.

West Side Story è un capolavoro monumentale che ha una propria identità senza volersi mettere a braccetto col precedente.
Ariana DeBose è Anita, David Alvarez è Bernardo

Esemplare la scelta e l’attenzione nel rispettare l’etnia dei personaggi anche nel cast preferendo il talento al grande nome che batte cassa. Non c’è appropriazione culturale e neanche un accenno di blackface, come si vedeva nel precedente. Troviamo anche un direttore d’orchestra venezuelano a dirigere il reparto musicale, Gustavo Dudamel, e la sua direzione va perfettamente a braccetto con le scene presentate.

I costumi del grande costumista teatrale Paul Tazewell (Hamilton, tanto per citarne uno) sono splendidi e mozzafiato mentre la fotografia Janusz Kaminski è sublime.

Il cast è eccellente: molto bravo il protagonista Ansel Elgort con una bellissima voce e una buona tecnica, ma sorprende una perfetta Rachel Zegler (prossima Biancaneve disneyana) che al suo debutto cattura il pubblico con innocenza, intensità e una voce meravigliosa. La migliore del gruppo è, senza dubbio, Ariana DeBose nei panni di Anita: radiosa, ipnotica, commovente ma anche molto divertente. La sua scena di America è la migliore sequenza musicale di gruppo dai tempi di Cell Block Tango (Chicago). Un tripudio di colori e gioia!

Emozionante il suo passaggio di testimone con la fuoriclasse Rita Moreno, precedente Anita nel West Side Story del 1961, che interpreta il bellissimo ruolo di Valentina e canta divinamente Somewhere. Degno di nota Mike Faist come Riff, un talento da tenere sott’occhio.

Rachel Zegler e Ansel Elgort sono Maria e Tony

Le canzoni composte da Leonard Bernstein con testi scritti dal recentemente scomparso Stephen Sondheim non sembrano invecchiare di un singolo giorno e sono perle di perfezione. La colonna sonora è decisamente un must have!

West Side Story è il Cinema, il Teatro al loro punto più alto. Un immenso Capolavoro che rimarrà nella storia. Sono certo che tra decenni ne parleremo ancora!