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Tre volti: Panahi di nuovo in viaggio dopo il Taxi di Teheran

Tre volti (Trois Visages) esce in Italia quasi casualmente a circa 40 anni da quel lontano 1º aprile 1979, quando la rivoluzione islamica iraniana, instaurò un regime teocratico, che rispondeva e risponda ancora oggi alla sola legge coranica (shari’a).

La formula usata dal regista Jafar Panahi è la stessa che ha conquistato pubblico e critica con il suo precedente Taxi Teheran. Un uomo alla guida (lo stesso Panahi) che si immola fisicamente per descrivere attraverso un on the road, non una specifica storia, quanto un affresco della moderna Repubblica Iraniana. Questa volta però non siamo a Teheran ma in un paesino sperduto a km dalla sua capitale. Un villaggio di contadini, d’altronde anche la stessa parola Iran deriva da “arya” che significa “aratore”.

Ma l’incipit narrativo è molto più moderno e passa attraverso un video messaggio fatto con uno smartphone da una giovane aspirante attrice Marziyeh Rezaei (che interpreta sé stessa, come tutti i personaggi della pellicola). Nel video la ragazza sembra suicidarsi a causa della sua famiglia contraria a farle realizzare il sogno di diventare un’artista. Il messaggio viene inviato (non si sa da chi) a Behnaz Jafari (anche lei nei passi di sé stessa), attrice molto nota in Iran che decide di raggiungere il villaggio insieme al regista Panahi. Tutto per capire se la storia è vera o solo uno scherzo di cattivo gusto.

Il viaggio è un pretesto. Lo sguardo artistico di Panahi, mai compiaciuto ed profondamente rispettoso ed innamorato della sua terra, è strettamente legato al cinema europeo.

Com’era stato anche per la giovane infermiera inglese Harriet alla ricerca del suo partigiano Guido nell’Italia rosselliniana di Paisà, anche qui la storia è solo in funzione di una digressione dal filo narrativo. Come se la giovane e idealista Marziyeh, disposta a tutto per diventare attrice, fosse anch’essa una partigiana.

Un affresco lucido, drammatico e al contempo ironico dell’Iran, tra tradizione e modernità. Dove, come dice uno dei personaggi, “ci sono più parabole che persone”.

L’Iran di ieri di oggi e di domani, rappresentate simbolicamente da tre attrici. Un’anziana (pre 1979), Behnaz (simbolo del cinema di oggi) e ovviamente la giovane Marziyeh.

Tre volti come i “tre fratelli” di Platonov, dal quale Francesco Rosi e Tonino Guerra presero spunto per un film che, con la scusa del funerale di una madre, raccontarono l’Italia degli anni ’80. Un paese che cambiava tra conflitti sociali, lotte operaie e la fine della buia stagione degli anni di piombo. Non siamo poi tanto lontani, né tanto diverso è il percorso che attende gli iraniani.

Sul piano formale Panahi si affida a piani sequenza e silenziose panoramiche. L’autore consegna un film stretto in una castigata morsa stilistica, figlia del suo padre putativo Abbas Kiarostami, per il quale ha lavorato spesso come assistente alla regia.

La pellicola si chiude con una scena altamente simbolica. Jafar Panahi, sia quello dietro la telecamera, sia quello in soggettiva dentro l’auto, è apparentemente rassegnato. Il regista ha appena rimediato una ammaccatura al vetro della sua macchina. Un piccolo danno figlio dell’ottusità socialmente deformata del fratello di Marziyeh. Si avvia così verso un mesto ritorno a casa. Sul ciglio della strada rispetta quella regola del clacson, che i contadini gli hanno spiegato all’inizio del film. Una legge fatta dagli uomini, per gli uomini. La società iraniana sembra funzionare esattamente così. Regolata da leggi arcaiche che giuste o meno, sono le dirette conseguenze di un generico disagio o di un’arretratezza umana, socioculturale o in questo caso semplicemente urbanistica. Poi quando tutto sembra arenarsi davanti un classico ed impotente “le cose stanno così e non cambieranno mai”, la splendida corsa della giovane Maziyeh con un “Manto” (مانتو) bianco come simbolo di una rinascita e voglia di riscatto e fuga da un villaggio che l’ha sempre chiamata “testa vuota”.

C’è speranza per Panahi dietro quell’ultima curva, in un angolo remoto di quella meravigliosa e contraddittoria terra che una volta era la gloriosa Persia.